Come sarà la politica estera dell’amministrazione Biden, qualora l’ex vicepresidente venga confermato alla Casa Bianca (in attesa che si concluda la battaglia legale avviata dalla Campagna di Donald Trump)? In un articolo pubblicato qualche mese fa sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, Joe Biden sembrava voler ripescare quell’idealismo wilsoniano che vede gli Usa come “poliziotto del mondo” e che ha spesso contraddistinto le amministrazione dei democratici e di recente l’ultimo mandato di Barack Obama (2012-2017), con l’appoggio incondizionato alle Primavere arabe e la destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa. “Durante il mio primo anno in carica – scriveva Biden su Foreign Affairs – gli Stati Uniti organizzeranno e ospiteranno un Summit globale per la democrazia per rinnovare lo spirito e lo scopo condiviso delle nazioni del mondo libero. Riunirà le democrazie del mondo per rafforzare le nostre istituzioni democratiche, affrontare onestamente le nazioni che si stanno ritirando [dalla democrazia] e forgiare un’agenda comune. Basandosi sul modello di successo istituito durante l’amministrazione Obama-Biden con il vertice sulla sicurezza nucleare, gli Stati Uniti daranno la priorità ai risultati galvanizzando nuovi impegni significativi nei paesi in tre aree: lotta alla corruzione, difesa dall’autoritarismo e promozione dei diritti umani nelle proprie nazioni e all’estero”. La promozione dei diritti umani su scala globale si tradurrà in nuovo interventi militari? In effetti, la (lunga) carriera politica di Biden parla chiarissimo. Come ha sottolineato di recente il senatore repubblicano Rand Paul, Biden “ha votato per la guerra in Iraq, che il presidente Trump ha definito a lungo il peggior errore geopolitico della nostra generazione”. “Temo che Biden sceglierà di nuovo la guerra. Ha sostenuto la guerra in Serbia, Siria, Libia”. A sostenere questa posizione è l’analisi del sito PolitiFact.
Joe Biden votò a favore della guerra in Iraq
Nell’ottobre 2002, l’allora senatore degli Stati Uniti Biden votò a favore di una risoluzione che autorizzava George W. Bush ad applicare “tutte le pertinenti” risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein e, se necessario, a usare la forza militare contro l’Iraq. Il resto è storia. Nonostante i dubbi sulle prove fornite da Colin Powell sulle presunte armi di distruzione di massa, il 20 marzo 2003 la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invase l’Iraq e diede inizio alla Seconda Guerra del Golfo. Il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln, quella che aveva partecipato alle operazioni nel Paese, annunciando la vittoria degli Stati Uniti. Il 30 dicembre 2006, l’ex Presidente e leader del partito Partito Ba’th, Saddam Hussein, venne giustiziato da un tribunale speciale iracheno. Nessun arma di distruzione di massa è mai stata trovata. In un’intervista rilasciata nel 2005, Joe Biden ammise che quel voto fu un grave errore.
Guerra in Serbia
Come senatore, Joe Biden ha votato a favore di una risoluzione del 1999 che autorizzava il presidente Bill Clinton a condurre operazioni aeree militari e attacchi missilistici contro la Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia e Montenegro), in collaborazione con gli alleati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Il 24 marzo del 1999 Bill Clinton annunciava l’intervento della Nato e i fallimento delle trattative con il presidente serbo Slobodan Milosevic. Come ricorda Rainews, i raid dell’Alleanza, senza mandato Onu, iniziarono la sera: l’ordine arrivò dal Segretario Generale della Nato, Javier Solana, e durarono 78 giorni. I bombardieri Nato decollarono anche da quattro basi aeree in Italia e da unità navali nell’Adriatico. La Serbia e il Kosovo si trasformano in morti e macerie, ad essere colpiti sono sia obiettivi militari sia obiettivi civili.
Conflitti in Siria e Libia
In qualità di vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha sostenuto le Primavere arabe e la destabilizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente operata dall’amministrazione democratica. In Siria, l’amministrazione Obama-Biden ha sostenuto gli attori proxy, ossia la sfilacciata e ambigua opposizione siriana, nel tentativo di rovesciare il regime di Bashar al-Assad e instaurare un nuovo regime democratico. Opposizione “moderata” ben presto sostituita dai ben più organizzati jihadisti di Al-Nusra (poi Hayat Tahrir al-Sham). L’amministrazione Obama nel 2014 ha lanciato attacchi aerei contro lo Stato islamico in Siria e nel 2015 vi ha schierato truppe per combattere il gruppo terroristico, sostenendo finanziariamente – e militarmente – i curdi. Risultato: Assad è ancora al potere e molte armi americane inizialmente donate all’opposizione “moderate” sono finite nelle mani dello Stato Islamico.
In Libia gli Stati Uniti, nell’ambito di un’operazione Nato, hanno fornito supporto aereo in un intervento che ha portato alla cacciata di Gheddafi. Obama spiegò che Gheddafi stava lanciando azioni militari che stavano causando la morte di civili e costringendo i libici comuni a fuggire nei paesi vicini, minacciando una crisi umanitaria in Libia. L’esercito americano ha speso circa 2 miliardi di dollari e diversi mesi per sostenere la caduta di Gheddafi. Risultato? In Libia non c’è la democrazia e dopo 10 anni il Paese è ancora in guerra. Biden avrà imparato la lezione?
Articolo di per it.insideover.com