Cosa succede quando si diventa negativi al Covid? Questa è la domanda che abbiamo rivolto al Professor Francesco Landi che per primo ha dato vita ad una ricerca sui postumi lasciati dal covid che sempre più pazienti lamentano anche dopo essersi negativizzati dal virus. In un momento come questo di estrema emergenza, la priorità della medicina è quella di trovare una soluzione o una cura al Covid. Il vaccino - che ci sia augura venga messo presto in commercio - è la speranza più grande per risolvere questa pandemia. Nel frattempo però soltanto in Italia abbiamo superato il milione di contagiati. Mettendo da parte gli asintomatici, molti di quelli negativizzati manifestano ancora molti sintomi postumi del Covid. Trattandosi di una infezione di cui non si ha una letteratura ampia, al Policlinico Gemelli di Roma il professor Francesco Landi, chirurgo e geriatra di fama mondiale e la sua equipe, dal 21 aprile hanno iniziato uno studio sui postumi del covid pubblicando la ricerca anche sul prestigioso Jama Journal.
Professore, prima di addentrarci nella specifica della sua importante ricerca, può dirci visto che lavora in uno degli ospedali più importanti della Capitale il Policlinico Gemelli, come è attualmente la situazione Covid?
“Come si può osservare dai numeri che vengono dati ogni giorno, stanno aumentando molto i numeri dei contagiati. A questi si uniscono poi anche quelle persone che prendono il Covid in maniera più seria e grave ed in particolare, lo abbiamo detto fino alla nausea, le persona più anziane e quelle che hanno patologie pregresse”
Quanto se ne sa attualmente di questo virus?
“Sicuramente dei passi in avanti ne abbiamo fatti. Abbiamo evidenze scientifiche prodotto in più parti del mondo e in particolare anche dall'Italia. Il passo più importante se vogliamo è proprio nella diagnosi che è più precoce. Nella capacità di fare attraverso il test rapido antigenico (quello che è simile al tampone ma che non va a vedere l'RNA ma le proteine del virus, ndr), un'azione di screeening molto importante. Si è parlato tanto della sensibilità e della specificità, però in tutti gli screening è importante prendere la maggior parte delle persone altrimenti sarebbe impossibile farli. Io dico sempre: se tra dieci persone positive ne prendo sei è meglio di zero, anche perché l'alternativa sarebbe non poter fare nulla”.
In concreto del nostro “nemico” Covid, abbiamo imparato a conoscerlo e a sapere come agisce oppure no?
“Abbiamo imparato certamente tanto ormai, a riconoscerlo anche dalle radiografie e dalle immagini tac polmonari. Conosciamo bene la sintomatologia, la caratteristica, insomma sappiamo molte cose. Certamente non abbiamo la terapia specifica anche questo lo sappiamo bene e al momento ci aiutiamo con farmaci che possono appunto migliorare la sintomatologia e andiamo avanti in attesa dell'arrivo del vaccino. Certo è una malattia nuova, sui libri di medicina non c’è. È una malattia che stiamo studiato sul campo con i nostri pazienti, non esiste una letteratura”.
Lei si occupa di geriatria. Perché ha pensato di fare uno studio sui postumi del Covid?
“Ci tengo a dire che il nostro è il primo studio in questo ambito e questa è un'esperienza strettamente personale di noi geriatri internisti. Il 9 marzo, me lo ricordo ancora, ha aperto il reparto Covid19 al Policlinico Gemelli, (ancora non c'era la Columbus che è la struttura “gemella” che ora si occupa solo di questi pazienti ndr) e mi sono stati affidati due nuovi reparti insieme ad un manipolo di medici desiderosi di dare una mano. Eravamo nel pieno dell’epidemia e c’era una grandissima necessità di posti letti, quindi abbiamo cominciato a dimettere i pazienti velocemente. Alcuni ancora con il tampone positivo anche se respiravano meglio, ma c’era una grandissima pressione e acceleravamo un po’ le dimissioni. Però ci siamo subito posti un problema importante chiedendoci che fine facessero queste persone, chi le avrebbe seguite perché magari avevano ancora alterazioni dell’olfatto e del gusto, si sentivano stanchi o avevano ancora un po’ di tosse”.
A che soluzione avete pensato?
“Il 21 aprile abbiamo aperto il day hospital perché da subito ho chiesto di rivedere i pazienti di marzo. Volevo rifare la radiografia del torace perché li avevamo dimessi ma ci stavamo redendo conto che erano guariti dal Covid solo secondo il criterio della assenza di febbre da tre giorni dei due tamponi negativi e del miglioramento dei sintomi, però questi non erano scomparsi. Quindi abbiamo cominciato a richiamare i pazienti che avevamo dimesso a metà marzo. Oggi mi sono reso conto che il day hospital, il servizio territoriale di controllo è importante sia per loro, ma anche per tutti quelli che hanno fatto la quarantena a casa. A loro dicevamo di non venire in ospedale, di prendere la tachipirina o l’eparina tramite iniezioni sulla pancia e di controllarsi la saturazione. Questi pazienti avevano bisogno prima di tutto di essere tranquillizzati e poi di fare almeno qualche esame che avevano mai fatto prima come ad eseempio una radiografia. Attualmente questo tipo di pazienti sta aumentando moltissimo”.
Ricontrollando i primi pazienti ha poi scoperto che alcuni di loro, anche dopo essersi positivizzati, continuavano ad avere dei disturbi?
“Esatto e abbiamo infatti pubblicato sul Jama Journal una ricerca proprio su questi che ha evidenziato alcuni postumi. Ai pazienti è stata offerta una valutazione medica completa con anamnesi dettagliata ed esame fisico. I dati su tutte le caratteristiche cliniche, inclusa la storia clinica e farmacologica, i fattori dello stile di vita, lo stato di vaccinazione e le misurazioni del corpo. Tutti questi sono stati inseriti in un sistema di raccolta dati elettronico e strutturato. In particolare, i dati su sintomi specifici potenzialmente correlati con Covid-19 sono stati ottenuti utilizzando un questionario all'arruolamento. Ai pazienti è stato chiesto di raccontare retrospettivamente la presenza o l'assenza di sintomi durante la fase acuta di Covid e se ogni sintomo persistesse al momento della visita. Da questo si è notato che erano ancora presenti uno o più sintomi”.
Di che sintomi parliamo?
“I pazienti sono stati valutati in media 60,3 giorni dopo l'inizio del primo sintomo Covid-19; al momento della valutazione, solo 18 (12,6%) erano completamente privi di qualsiasi sintomo correlato al Covid-19, mentre il 32% aveva 1 o 2 sintomi e il 55% ne aveva 3 o più. Nessuno dei pazienti aveva febbre o segni o sintomi di malattia acuta. Un peggioramento della qualità della vita è stato osservato nel 44,1% dei pazienti e un'alta percentuale di individui ha riportato ancora stanchezza (53,1%), dispnea (43,4%), dolori articolari (27,3%) e dolore toracico (21,7%)”.
Sintomi post Covid li hanno avuti anche chi ha sviluppato il virus in maniera asintomatica?
“Fortunatamente chi non li ha avuti prima non li ha avuti neanche dopo. Il vero asintomatico è quello che non ha mai sviluppato nessun sintomo e non appaiono neanche dopo”.
Se un paziente contrae il virus e ha una patologia pregressa, poniamo ad esempio un’asma allergica, dopo essersi negativizzato la patologia peggiora o rimane invariata?
“Non lo sappiamo ancora, queste sono tutte cose che andremo ad osservare con calma e più avanti. Ricordiamoci sempre che noi vediamo pazienti che si sono ammalati a marzo e a oggi abbiamo la storia di una malattia di soli sei mesi”.
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