negazionisti di Tetra Images AGFQual è la spinta psicologica profonda che porta una persona a negare le realtà evidenti dell'epidemia di COVID-19? È un classico meccanismo di difesa legato alla paura, che la psicoanalisi – la disciplina che l'ha studiato più di ogni altra – definisce "diniego psicologico".  Se ne occupano esperti di salute pubblica, studiosi di comunicazione del rischio, psicologi e anche influencer. Ma per affrontare con efficacia il negazionismo su COVID-19 – negare che la malattia sia poi così grave, negare l’utilità degli sforzi per prevenirla o, all’estremo, negare addirittura che il virus esista – bisognerebbe arruolare anche un’altra categoria: gli psicoanalisti.  "La non adesione di massa alle raccomandazioni mediche negli Stati Uniti è un fatto unico nella storia moderna. Mai prima d’ora tanti cittadini hanno avuto un tale accesso all’informazione e, allo stesso tempo, hanno rifiutato le raccomandazioni di salute pubblica con una negazione così accalorata dei dati di fatto", scrivono su "Lancet" Austin Ratner, che a New York è uno scrittore ed esperto di psicanalisi laureato in medicina, e Nisarg Gandhi, specializzando al Saint Barnabas Medical Center di Livingston, in New Jersey.   In questo rifiuto, i due vedono la manifestazione di un classico meccanismo di difesa psichico noto agli psicoanalisti: il diniego psicologico.

Il concetto di diniego è stato invocato per spiegare gli atteggiamenti riguardo a COVID-19 così come al cambiamento climatico e ad altri rischi gravi, ma non se n’è mai fatto un uso sistematico per affrontarli, spiegano i due. "Secondo noi è giunto il momento di farlo: chi si occupa di salute pubblica deve includere lo studio e il trattamento del diniego psicologico fra gli strumenti per contrastare la mancata adesione."

Per questo bisogna costruire una nuova partnership tra la psicologia sperimentale, la salute pubblica e la psicoanalisi, la disciplina che per prima ha postulato questi meccanismi di difesa ed è tuttora la più dedita a studiarli e trattarli.

Rifiutare il cambiamento
"È una tesi convincente", dice a “Le Scienze” Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoanalista e docente di psicologia dinamica alla Sapienza-Università di Roma. "Riguardo a COVID-19, fra i miei pazienti alcuni erano più propensi a minimizzare il pericolo, se non a negarlo, per poter non cambiare niente nella loro vita e non affrontare i limiti che la minaccia imponeva. Altri invece ingigantivano la paura e rifuggivano da una qualunque possibile negoziazione con il cambiamento oggettivo. In realtà, però, queste due dimensioni convivono dentro ciascuno di noi e dobbiamo di continuo negoziare questa tensione. E questo è proprio il sistema dei meccanismi di difesa: il modo in cui un individuo, nei suoi pensieri, affetti, comportamenti, risponde a una sorgente minacciosa, che sia esterna, o che venga dall’interno in termini di paure, fantasie, ricordi."

I tempi sono ormai maturi per la collaborazione con gli psicoanalisti, secondo Ratner e Gandhi, anche perché si stanno allentando le tradizionali barriere disciplinari, alimentate da un lato dalla tendenza degli psicoanalisti a uno “splendido isolamento”, a rifiutare l’onere della prova delle loro idee e la collaborazione con gli psicologi sperimentali, e dall’altro lato dalla diffidenza o dal disdegno di molti altri specialisti verso la psicoanalisi.

"Oggi si tende a distinguere sempre meno tra mente e cervello, si sa che sono la stessa cosa. E sono state trovate basi neurofisiologiche per tanti aspetti della tradizione psicodinamica", dice Lingiardi. "Questo ha ridotto le diffidenze e il campanilismo scientifico. E, in clinica, sta venendo meno l’idea che ci sia un modello unico a cui tutti i pazienti devono aderire, e si riconosce che pazienti diversi rispondono meglio a modelli diversi. Ciò ha creato una comunità meno litigiosa e più aperta al dialogo e alle collaborazioni. Lo segnala il fatto stesso che questa lettera sia stata pubblicata su ‘Lancet’, dove di rado trovi riferimenti al funzionamento psicologico e specialmente a un costrutto fondativo della psicoanalisi come i meccanismi di difesa."

La paura che c'è dietro
Quindi la psicoanalisi come può aiutare ad affrontare il diniego? "Ovviamente non si può trattare individualmente ciascun caso. Ma si può istruire sul fenomeno il personale medico e istituzionale che si relaziona alla popolazione, e aiutarlo a creare messaggi efficaci, che tengano conto delle difese inconsce", spiega Ratner a “Le Scienze”. "Per esempio gli psicoanalisti possono aiutare a capire, e a saper usare nelle relazioni, il fatto che dietro la negazione c’è sempre la paura, per la salute, per il lavoro o altro. O che nelle irrazionalità e anche negli attacchi c’è a volte il sentirsi abbandonati, e quindi non basta un messaggio di rassicurazione ma serve anche una presa in carico, il far sentire che si può contare su servizi pubblici, scuole, ospedali", esemplifica Lingiardi.

Questi e altri esempi smontano anche una critica rivolta alla proposta: che un approccio simile rischi di patologizzare il diniego, come se fosse un disturbo da curare e non, molte volte, la manifestazione (seppur pericolosa e criticabile) di un disagio.

“Al momento però - osserva Ratner - la questione principale non è tanto cosa e come, ma chi: dobbiamo reimmaginare le figure professionali che contrastano la non-adesione. Gli psicoanalisti hanno una formazione clinica unica nel riconoscere le difese (non solo il diniego ma anche altri meccanismi in gioco) e lavorarci intorno. Consideriamo un’analogia: se hai un eczema psicosomatico, un dermatologo può curare i sintomi, ma non la causa sottostante. Per quella ti serve uno psicoterapeuta: una figura professionale diversa."

Dato che finora gli psicoanalisti non si sono dedicati a interventi simili, i programmi d’azione e le strategie per realizzarli non sono ancora definiti. "Gli psicoanalisti devono essere coinvolti nello scriverli. Ma posso già fare qualche riflessione su come potrebbero essere e cosa potrebbero dare in più rispetto a un’ordinaria checklist di comunicazione del rischio", aggiunge Ratner.

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dall'articolo di Giovanni Sabato  per LeScienze.it

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