Un'indagine di Altroconsumo ne promuove alcune, ma non ci sono regole precise. Individuarle servirebbe anche a risparmiare e proteggere l'ambiente. Le mascherine di stoffa riescono a filtrare le nostre secrezioni? Hanno caratteristiche simili a quelle chirurgiche e si possono quindi utilizzare in sicurezza con un impatto minore sull’ambiente? A queste domande ha cercato di rispondere un’analisi condotta da Altroconsumo e pubblicata in anteprima da Salute che ‘promuove’ alcune delle mascherine in tessuto. Una buona notizia anche per l’ambiente, perché se tutti per andare a lavoro, a scuola o a fare la spesa usassero questi prodotti al posto delle mascherine usa e getta si risparmierebbero ogni giorno tonnellate di rifiuti di plastica e si inquinerebbe meno il pianeta con un risparmio anche per le nostre tasche.
A differenza di quelle chirurgiche e delle Ffp2/Ffp3, quelle in stoffa, lavabili e riutilizzabili, sono definite mascherine di comunità perché non sono destinate ad uso professionale sanitario. Infatti, non sono tenute a rispettare le norme tecniche previste per le mascherine ad uso medico e filtranti facciali: si tratta, in sostanza, di capi d’abbigliamento, che non possono vantare alcuna performance in termini di filtrazione e traspirabilità. “Sappiamo però da alcuni studi pubblicati che anche le mascherine di tessuto possono avere un’efficienza di filtrazione e una traspirabilità simili o comparabile a quelle delle mascherine chirurgiche”, spiega Silvia Bollani, esperta di Altroconsumo. Questo si verifica di solito quando le mascherine di stoffa sono costituite da tre strati (uno esterno, uno interno a contatto con la bocca e uno intermedio, che può essere usa e getta) con tessuto a trama fitta.
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dall'articolo di IRMA D'ARIA per Repubblica.it