Il meccanismo ormai è conosciuto: le aziende che operano sul web non pagano le tasse nei Paesi dove fatturano ma solo dove il regime fiscale è più agevolato. Oltre un miliardo di dollari, da versare alla Francia per mettersi in ordine con le tasse. È l’ultima parcella che Google ha dovuto pagare in Europa. Una saga lunga ormai diversi capitoli e che si basa tutta su un unica domanda: dove devono pagare le tasse i colossi del web? Una corte di Parigi ha condannato Google a pagare una multa da 551 milioni di dollari. La società ha spiegato poi che ne pagherà altri 513 per chiudere tutte le tasse. L’accusa è sempre evasione fiscale. In Europa colosso di Mountain View guadagna grazie al traffico che proviene da diversi Paesi ma paga tutte le tasse in Irlanda, dove può contare su un regime agevolato. Questa situazione ha portato l’Unione Europea a interrogarsi sul problema, tanto che negli ultimi anni si è cominciato a parlare di web tax.
Il caso Parigi: web tax al 3%
Taxe Gafa, così i francesi hanno cominciato a conoscere la tassa introdotta lo scorso luglio dal governo per trattenere nelle casse dello Stato parte dei proventi guadagnati dalle società che lavorano sul web. Quel Gafa è l’acronimo di Google, Amazon, Facebook e Apple: le quattro aziende che più sono coinvolte da questa imposta.
La tassa sarà del 3% sul fatturato registrato dai colossi del web con i clienti francesi. Le piccole start up sono escluse. Perché questa web tax venga applicata il fatturato globale della società deve superare i 750 milioni di euro. Secondo le previsioni del governo di Parigi questa operazione dovrebbe portare nelle casse dello Stato circa 400 milioni di euro nel 2019 e 650 milioni di euro nel 2020.
Ai tempi del lancio, la proposta non era stata accolta con molta serenità a Washington. Il governo degli Stati Uniti aveva parlato infatti di «danno ingiusto» ed era arrivato anche a sollevare la minaccia dei dazi per i prodotti di importazione francese.
Quella proposta mai attuata in Italia
Anche l’Italia ha la sua web tax. È stata inserita nella manovra di bilancio approvata da Lega e Movimento Cinque Stelle ma, al momento, non è ancora stata applicata. I contorni di questa imposta sono molto simili a quelli della Taxe Gafa: si può applicare alle società che hanno oltre 750 milioni di euro di fatturato globale, di cui almeno 5,5 milioni registrati in Italia.
Anche qui parliamo di un’aliquota al 3%. Le previsioni per gli introiti nelle casse dello Stato sono molte rosee. Se fosse entrata in vigore nel 2019 si sarebbe potuto parlare di 150 milioni di euro per il primo anno, destinati a salire sui 600 milioni nel secondo anno.
Eppure la web tax italiana, al momento, è ferma. Manca ancora il decreto attuativo che deve essere firmato dal Ministero dell’Economia, dal Ministero dello Sviluppo Economico in accordo con Agcom e Garante per la privacy.
I rischi di una web tax nazionale
Nonostante per lo Stato sia una boccata di ossigeno e una fonte di guadagno in più, per le aziende, soprattutto se piccole e giovani, la web tax potrebbe rivelarsi un ostacolo in più da affrontare. Lo aveva spiegato a Open lo scorso dicembre Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del settore digitale.
I costi della web tax infatti potrebbero essere ammortizzati dalle compagnie web alzando le tariffe dei servizi per chi su queste piattaforme ci lavora. Se quindi l’Italia, insieme alla Francia, fosse uno dei pochi Stati ad applicare questa tassa le start up che operano nel digitale si troverebbero svantaggiate rispetto ai competitor europei. «In un settore che cresce, i giovani talenti che si mettono in discussione – spiega Marco Gay – si ritroveranno con una tassa in più che li penalizza rispetto ai concorrenti stranieri».
Una tassa globale, o almeno europea
La soluzione quindi sarebbe imporre a queste compagnie una tassa uguale in tutti i Paesi europei. La questione non è certo nuova agli uffici di Bruxelles. Una proposta di legge era già stata discussa nel settembre 2017 durante un Ecofin, la riunione dei ministri delle Finanze di tutti i governi europei. Al momento, però, non è ancora stato approvato nessun disegno di legge. Intanto il caso Parigi potrebbe fare scuola e far capire quali potrebbe essere, nel concreto, gli effetti di una web tax applicata solo a livello nazionale.
Articolo di Valerio Berra per Open.online