VideosorveglianzaOcchi elettronici e sistemi d’allarme sul mercato per pochi euro, controllabili sempre perché connessi al nostro smartphone. E se non riprendete zone di spazio pubblico, non è necessario chiedere autorizzazioni. Fino a qualche anno fa, un impianto di videosorveglianza domestico era faccenda onerosa. Bisognava appoggiarsi a un installatore professionale, tirare cavi per casa, vedere spuntare dalle pareti degli occhi elettronici vistosi e poco gradevoli, organizzarsi per gestire i salvataggi e l’archivio dei video. In più i costi erano elevatissimi: queste soluzioni erano appannaggio solo di aziende, studi professionali e maxi-ville dei vip. Negli ultimi anni invece, con le app e il wifi bastano il fai-da-te e poche centinaia di euro per tenere sotto controllo un’abitazione, con oggetti poco o per nulla invasivi e spesso anche dotati di un bel design.

Le telecamere wireless o «telecamere Ip» (ovvero «Internet Protocol») si installano in pochi minuti: basta collegarle alla presa e agganciare la rete wifi domestica. Poi si controllano attraverso lo smartphone. Quando si è fuori casa, mandano una notifica se rilevano un movimento e attivano la registrazione. Filmano il ladro e lo archiviano sul cloud. I filmati vengono archiviati su una scheda di memoria ma sempre più frequentemente sul cloud, in modo che il volto di un eventuale malvivente penetrato nell’abitazione rimanga comunque registrato anche se la schedina (o l’intera videocamera) viene rimossa e portata via. Ci sono modelli che sfruttano gli algoritmi di intelligenza artificiale per riconoscere i volti di chi si entra in casa, ce ne sono altri in grado di resistere senza problemi alle intemperie per poter essere installati all’esterno, ce ne sono infine alcuni con potenti batterie interne (che durano mesi o anni) per chi dovesse installarle lontano dalle prese elettriche. Insomma, la versatilità e la varietà delle soluzioni giustifica il successo delle telecamere web, spinte dalla crescente attenzione degli italiani per la sicurezza.

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dall'articolo di Paolo Ottolina per Corriere.it 

 

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