«Io resto dove sono. Non esco, non sono scissionista». Laconico come sempre Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds e senatore dem vicinissimo a Massimo D’Alema. Poche parole che però hanno un impatto non da poco sulla guerra dei beni in corso da nove anni tra ex Ds e Pd. Quando infatti a inizio febbraio lo spettro scissione cominciò a materializzarsi, i Dem pensarono subito a quella cassaforte di 68 fondazioni con dentro 2.399 immobili, 410 opere d’arte e un valore stimato di circa mezzo miliardo di euro (benchè non ci siano dati ufficiali a tal riguardo). Se il deus ex machina delle fondazioni fosse andato con D’Alema e Bersani, i Dem avrebbero corso il rischio di vedere eclissarsi per sempre quel forziere gelosamente custodito da Sposetti. Per questo il tesoriere Pd Francesco Bonifazi è partito lancia in resta proponendo una class action con cui si sarebbe aperta formalmente la guerra a colpi di carte bollate per mettere le mani sulle fondazioni.
Adesso che Sposetti conferma la sua permanenza a Largo del Nazareno dove si farà sostenitore della linea orlandiana, il Pd evita di esporsi. È circolata anche la voce di un passaggio di mano della guida delle fondazioni da Sposetti a Orlando, poi prontamente smentita. A Largo del Nazareno bocche cucite e il no comment più assoluto. È presto per dire che la class action contro le fondazioni sia già sul binario morto ma certo si registra una maggiore freddezza rispetto alle intenzioni bellicose di quindici giorni fa. E il tesoriere Bonifazi scherzando si lascia andare a una battuta sibillina: «I segreti sono custoditi dentro di me...».
Immobili e opere d’arte
Le 68 fondazioni sono distribuite in tutta la penisola ed hanno come capofila l’associazione Enrico Berlinguer (l’elenco completo si può trovare nel sito di questa associazione all’indirizzo www.enricoberlinguer.org). Ad esse le vecchie federazioni Ds passarono i propri beni alla vigilia dello scioglimento nel Pd. Così sono esse oggi le proprietarie di vecchie sedi di partito, Case del popolo, palazzi, immobili donati dai militanti e perfino capannoni industriali. Se non fosse per i nomi, queste fondazioni non avrebbero nulla di diverso da quelle bancarie, per esempio. Ma le denominazioni svelano apertamente cosa ci sta dentro: i sardi ne hanno intitolata una a Enrico Berlinguer, ad Alessandria hanno scelto Luigi Longo, l’ultimo segretario custode della stretta ortodossia marxista-leninista, Milano ha preferito Elio Quercioli, ex vice sindaco, deputato e figura di spicco della vecchia nomenclatura.
Ci sono poi le opere d’arte. Tra queste quadri di Renato Guttuso, Mario Schifano e Renato Marino Mazzacurati. Ci sono poi vecchi cimeli: bandiere, mobili d’epoca, targhe. Un tesoro dall’inestimabile valore storico oltre che economico.
Il finanziamento pubblico
Certo tutto questo ben di Dio fa gola ai Democratici. E non potrebbe essere diversamente in un periodo in cui i finanziamenti ai partiti languono. I rimborsi elettorali sono ormai quasi completamente sostituiti dai finanziamenti attraverso il 2 per mille. È vero che il Pd si è aggiudicato per due anni di fila il 50% dei fondi disponibili, pari a circa 6 milioni e mezzo di euro l’anno ma per ottenere questi soldi bisogna convincere gli elettori a versare il 2 per mille della propria Irpef e se i partiti continuano a perdere appeal, i cittadini non versano. Tanto che tra il 2015 e il 2016 c’è stata una flessione di opzioni per tutti partiti, Pd compreso.
In questa situazione, il tesoriere Bonifazi accetta malvolentieri di dover pagare l’affitto delle sedi Pd alle fondazioni di Sposetti. E ancor più malvolentieri legge le lettere di sfratto inviate lo scorso anno alle sedi morose.
Quegli immobili - secondo il Pd - sono un lascito degli ex militanti, quindi di proprietà dei Democratici, non di fondazioni private. Ma per ora sembra disinnescato il rischio che passino al partito scissionista. Ed è già qualcosa.
Articolo di Mariolina Sesto da ilsole24ore.com