La capitana giustificata in punta di diritto «per aver agito in adempimento di un dovere». Ma la realtà è diversa. «Impunità» umanitaria sono le prime parole che vengono in mente dopo la lettura dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Alessandra Vella, che ha fatto tornare Carola Rackete libera e bella.  La capitana viene di fatto giustificata, in punta di diritto, «per avere agito in adempimento di un dovere» ovvero di fare sbarcare ad ogni costo i migranti in Italia.

 

1. SI È TRATTATO DI UN SOCCORSO O DI UN RECUPERO?

Il giudice Vella basandosi su una relazione della Guardia di finanza e soprattutto sulle parole della capitana dà per scontato che il 12 giugno il gommone individuato dall'aereo delle Ong, Colibrì, decollato da Lampedusa, rischiava di affondare da un momento all'altro. «Era un gommone in condizioni precarie e nessuno aveva giubbotto di salvataggio, non avevano benzina per raggiungere alcun posto» sono la parole di Carola riportate nell'ordinanza. In realtà una foto scattata dalla stessa Sea Watch dimostra che i tubolari del gommone blu sono gonfi e a bordo ci sono diverse serbatoi usati per il carburante. Sulle modalità del «soccorso» è aperta una seconda inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina che stabilirà se non si tratti di un «recupero» più o meno concordato. Per di più il Gip non prende minimamente in considerazione l'assunzione di responsabilità dell'operazione, in acque di ricerca e soccorso libiche, della Guardia costiera di Tripoli.

2.«LA TUNISIA NON È UN PORTO SICURO»

Sea Watch, una volta imbarcati i migranti, si trovava a 69 miglia dalla Tunisia rispetto alle 124 da Lampedusa. Dopo avere rifiutato lo sbarco a Tripoli, zona di guerra, poteva puntare su Zarzis, ma la giudice Vella spiega che «venivano esclusi i porti tunisini perché secondo la stessa valutazione del Comandante della nave, «in Tunisia non ci sono porti sicuri». Circostanza che riferiva risultarle «da informazioni di Amnesty international». E così via verso l'Italia. Peccato che la Tunisia ha firmato le Convenzioni sul salvataggio in mare e quella di Ginevra sui diritti dell'uomo. Ogni anno 5 milioni di turisti la considerano sicura per le vacanze. Non solo: è datato l'esempio citato nell'ordinanza di un mercantile da due settimane al largo di Zarzis in attesa di sbarcare 75 persone partite dalla Libia e soccorse in mare. Il 18 giugno i migranti, che non avevano diritto all'asilo, sono scesi a terra con un accordo mediato dall'Onu che li ha rimpatriati.

3.CAROLA POTEVA VIOLARE IL BLOCCO

Il leit motiv del salvataggio di vite umane e dei migranti in pericolo continua anche davanti alle acque territoriali italiane, dove le persone malate o vulnerabili, come donne e bambini, sono state sbarcate. La procura di Agrigento ha detto chiaro e tondo che non c'era alcuno «stato di necessità». La giudice Vella, al contrario, sostiene che la decisione di violare il blocco imposto dal Viminale «risulta supportata» da una serie di norme «per prestare soccorso e assistenza allo straniero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare». In pratica non possiamo fermare le navi delle Ong con i migranti a bordo e le «direttive ministeriali in materia di porti chiusi» non hanno «nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3» di far sbarcare i migranti nel porto di Lampedusa.

4. IL SUO DOVERE

Le accuse di violenza e resistenza nei confronti dei finanzieri a bordo della motovedetta, che fino all'ultimo hanno tentato di fermare Sea Watch, vengono smontate. Stupefacente l'opinione del giudice sulla manovra di Carola che ha schiacciato l'unità dello Stato contro la banchina. «Dalla visione del video il fatto deve essere di molto ridimensionato, nella sua portata offensiva» scrive Vella.

Bontà sua il gip ammette che per i cinque pubblici ufficiali a bordo, la manovra era «pericolosa e volontaria seppure calcolata». Però il fatto non è punibile «per avere l'indagata agito in adempimento di un dovere» di sbarcare i migranti in Italia.

5. L'INTERVENTO DEI LIBICI

Il Gip non prende minimamente in considerazione l'assunzione di responsabilità dell'operazione, in acque di ricerca e soccorso libiche, della Guardia costiera di Tripoli. E scrive riportando il rapporto della Finanza che «al termine delle operazioni giungeva una motovedetta libica, che preso atto di quanto accaduto si allontana senza dare indicazioni al comandante di Sea Watch 3». In realtà la capitana ammette con una mail inviata il 12 giungo a tutti i Centri di soccorso dell'area che i marinai libici «mi contattano via canale 16 Vhf, dopo l'imbarco dei migranti» tirati a bordo, guarda caso, appena in tempo.

 

You have no rights to post comments