Il lavoro degli inquirenti negli ultimi anni svela come quello dell'accoglienza sia uno dei business più fiorenti per le mafie. Il vero filo conduttore che riguarda tutte le mafie riguarda senza dubbio i soldi: la criminalità organizzata, in ogni parte del mondo, va soltanto lì dove ci sono interessi di natura economica. Un appalto, una fornitura, anche un singolo lavoro per i clan e per ogni gruppo che si rifà ad un consorzio mafioso vuol dire soldi, potere e prestigio ed entra automaticamente nelle sue mire.
L’impermeabilità contro le infiltrazioni di stampo mafioso dipende ovviamente poi dal livello basso od alto di corruzione, specie all’interno della pubblica amministrazione. In un momento in cui le “mafie tradizionali” sono paradossalmente esse stesse vittima della crisi economica che attanaglia territori in cui originariamente è arroccata, è chiaro che il loro sguardo vira verso settori in grado di rivitalizzare il proprio business.
Quello dei migranti e della loro accoglienza appare ovviamente molto redditizio. Del resto nell’ambito dell’inchiesta “mafia capitale”, un indagato in un’intercettazione parla chiaramente di come “con i migranti si fanno più soldi che con la droga”, in riferimento ad affari interni al Cara di Mineo.
Non è dunque un mistero che il sistema dell’accoglienza faccia gola alla criminalità organizzata. È proprio di pochi giorni fa il blitz che porta all’arresto di undici persone tra Lodi e Parma. Per loro le accuse sono quelle di associazione a delinquere, truffa allo Stato e autoriciclaggio. Secondo chi conduce le indagini, i protagonisti sarebbero riusciti nell’intento di appropriarsi indebitamente di 7.5 milioni di Euro grazie alla gestione di alcune strutture di accoglienza tramite quattro Onlus impegnate nel settore.
Fatture gonfiate, ma anche posti di lavoro da assegnare a gente vicina ai clan, tutto un giro dunque per far guadagnare le ‘ndrine dietro le gestioni dei centri d’accoglienza finiti nel mirino. Di quei 7.5 milioni di Euro sopra menzionati, più della metà sarebbero finiti anche direttamente all’interno delle tasche delle cosche.
Ma questo è solo l’ultimo caso. Proprio nei giorni scorsi arrivano le prime sentenze in Calabria nell’ambito del processo scaturito dal blitz Jonny, lo stesso che nel 2017 mette luce sugli affari della potente cosca Arena nella gestione del Cara di Isola Capo Rizzuto.
Un’intera struttura in mano alle cosche, che garantisce alla locale ‘‘ndrangheta profitti superiori rispetto a quelli prodotti dallo spaccio di sostanze stupefacenti. Un affare che coinvolge anche professionisti, che porta ad infliggere pene pesanti tra gli altri a Leonardo Sacco, ex gestore regionale delle Misericordie. In Sicilia più volte poi si parla del Cara di Mineo come un centro dove la mafia più volte mette gli occhi, mentre in Campania nel corso degli anni vengono riscontrati casi in cui la camorra impone il pizzo alle cooperative che gestiscono centri d’accoglienza.
In provincia di Agrigento il blitz Montagna condotto nel 2018, scaturisce dalle dichiarazioni del pentito Giuseppe Quaranta: “Per ogni nero noi intaschiamo 45 Euro”, afferma il collaboratore di giustizia agli inquirenti.
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