Matteo Renzi confessa a Tommaso Labate che ha il timore “di finire becco”, e almeno questo sarebbe confortante, un segnale di lucidità. Dice l’uomo di Rignano alla firma del Corriere della Sera: “E poi oh, com’è che si dice, il ‘becco’ che è il modo in cui in Toscana si identifica il marito tradito, è sempre l’ultimo a sapere le cose? Magari hanno già combinato tutto e io non lo so”. Peccato che nello stesso giorno, su La Repubblica, l’ex premier si esibisca invece in un prodigioso saggio di megalomania politica in cui non c’è nessuna traccia del saggio timore del cornuto. Leggere per credere, la sequela delle sparate: 1) “Conosco le aule parlamentari, io”. 2) “Trovo sconvolgente dover spiegare a un professore di diritto che non si possono presentare i testi all’ultimo minuto”. 3) “Capisco che nella cultura del Grande Fratello è difficile da accettare ma i testi di legge non sono post, i decreti non sono tweet, una riforma non è una storia su Instagram”. 4) “Se ci saranno davvero delle modifiche significa che le nostre osservazioni erano giuste”. 5) “Dovrebbero ringraziarci, non attaccarci”. 6) “Il populista (cioè secondo lui Conte, ndr) guarda il numero dei follower e lo share dei messaggi a rete unificata”. 7) “Preferisco essere guidato da persone competenti che provano a cambiare la situazione che non da persone simpatiche che provano a aumentare il proprio gradimento”.
8) “Capisco che alcuni media europei hanno definito Conte ‘cheerleader di Trump’ ma così è troppo”. 9) “Non esiste nemmeno che il Pd si suicidi in nome della difesa del premier che ha firmato con Salvini i decreti sicurezza e che si è proclamato populista e sovranista al fianco di Trump”. 10) “Se bastano Facebook, i sondaggi, le dirette senza contraddittorio, i Dpcm settimanali, allora va bene così, togliamo il disturbo noi”. 11) “Chi chiede di guardare alla popolarità per scegliere la leadership dimostra che il Grande fratello ha già vinto”. 12) “Puntare ad avere più like è tipico degli influencer non dei politici”.
Fantastico. E sono solo le prime dodici perle pronunciate in una sola intervista piena di smargiasserie. Se tutte queste accuse arrivassero da Luigi Einaudi o da Ferruccio Parri, si potrebbe persino prenderle sul serio. Ma va ricordato che il pulpito da cui partono le lezioni di etica politica, e i richiami ai doveri dello statista, è invece quello di Renzi.
Ovvero lo stesso uomo che 1) bocciò una riforma di Letta via Twitter, che 2) promise solennemente di dare addio alla politica, che 3) promise da Vespa di andare in pellegrinaggio a piedi se non avesse pagato i debiti della Pubblica Amministrazione (mai fatto). Renzi è lo stesso che 4) si presentò a Palazzo Chigi con un carrettino dei gelati, che 5) regalò una maglietta della Fiorentina alla Merkel e poi 6) tolse la bandiera europea (!) dalla sua scrivania di Palazzo Chigi, che 7) abolì l’articolo 18 annunciandolo in aula 8) senza nemmeno informare il ministro che aveva scritto la riforma. Lo stesso che 9) disse “mai al governo con i Cinque stelle” e 10) un anno dopo annunciò “facciamo il governo con i cinque stelle”, che 11) disse “noi non facciamo scissioni” e 12) e ne realizzò una sette giorni dopo, lasciando il Pd aver ottenuto due poltrone da ministro.
Un genio. Speriamo che invece di far di tutto per tenerlo nella maggioranza ne approfittino per farlo uscire al più presto.
Articolo di Luca Telese per TPI.it