Non è stato limpido nemmeno nell’aprire la crisi. Ritirate dal governo le sue ministre e il sottosegretario Scalfarotto, Renzi prima ha vomitato ogni accusa possibile su Conte e le forze politiche che lo sostengono, ma poi ha lasciato aperto uno spiraglio, non sia mai che il premier voglia genuflettersi allo statista di Rignano. A questo signore resterà in eterno la macchia di aver messo in croce un Esecutivo nel mezzo di una pandemia con 80mila morti. Quisquilie per il cinismo del leader di Italia Viva, che adesso spera nella formazione di una nuova maggioranza con dentro chicchessia tranne Giuseppi. Una coalizione per cui i poteri forti già si leccano i baffi, contando sulle consuete modalità nella spartizione dei fondi europei: tutto ai soliti noti e niente agli altri. E dire che se avremo quei miliardi è solo grazie a Conte, che per tale impresa non pensava di meritare una statua ma nemmeno che tale tesoro diventasse il movente della congiura ordita non solo da Renzi. Il secondo tentativo di far fuori il Presidente del Consiglio rischia però di fallire come il primo, ai tempi del Papeete, e se in Parlamento si troverà un manipolo di volenterosi i giallorossi potranno completare la profonda modernizzazione avviata nel Paese. Diversamente restano le urne, che il numero uno di Italia Viva ha escluso categoricamente, anche perché tra le poche certezze c’è che schianterebbero il partito di Boschi e Bellanova. Prepariamoci dunque a settimane di passione, alla fine delle quali non è certo – ma molto probabile – che dopo Conte ci sarà Conte ancora.
Articolo/editoriale di Gaetano Pedullà per LaNotiziaGiornale.it