Draghi e contePeccato che molti pentastellati non se ne siano accorti e altri preferiscano per default il ruolo delle vittime, ma l’incarico a Draghi è un successo del M5S e del governo Conte: ha costretto i poteri forti a uscire allo scoperto e Mattarella a gettare la maschera (o meglio a indossarne un’altra: in fondo è un democristiano e i democristiani non hanno volto, solo maschere). Avrebbero preferito di gran lunga, i poteri forti, che il Movimento implodesse, frantumandosi o ancor meglio avventurandosi sulla strada di un massimalismo reboante e senza sbocchi. Non che i pentastellati non abbiano commesso errori, alcuni gravi; però l'abilità di Conte, il sangue freddo di Di Maio e la lealtà critica di Di Battista hanno mantenuto in vita il governo più a lungo di quanto era stato preventivato dalle multinazionali, portando a significativi risultati e minacciando di poterne ottenere altri.   Il Recovery Fund da più di duecento miliardi è stato l’evento che ha obbligato la santa alleanza di casta, liberisti all’italiana e giornalisti a forzare i tempi:

che la ripresa economica potesse andare a vantaggio del ceto medio, in controtendenza rispetto al dogma neocapitalista della concentrazione di potere e ricchezza nella mani di alcuni nababbi e di poche decine di corporation più ricche degli Stati nazionali, bè era francamente inaccettabile. Da qui il ricorso a Renzi, fatto a freddo, senza alcun accettabile pretesto, È vero che potevano contare su un’alta percentuale di italiani, ormai berlusconizzata a livello di connessioni cerebrali e dunque succube degli stimoli mediatici, peggio che il cane di Pavlov; lo stesso la mossa è stata un po’ improvvisata.
Bisogna approfittarne; il NO a Draghi e al suo servo Renzi deve essere categorico. Nei mesi scorsi ho spesso invitato il Movimento alla moderazione e al compromesso in nome del realismo politico; ma oggi il realismo politico chiede una contrapposizione frontale. Che il Pd, se vuole, faccia lui da stampella all’uomo della grande finanza (i cui giornali infatti lo hanno immediatamente celebrato, a cominciare dal New York Times e da CNN, con toni simili a quelli usati un paio di anni fa per il golpista venezuelano Guaidó e da qualche settimana per il filoamericano Navalnyj). Il M5S ha tutto, proprio tutto da guadagnarci a essere contro. Inclusa l’opportunità di approfittare di un periodo di lontananza dal governo per pensare finalmente a sé stesso (e al paese solo attraverso sé stesso, come un partito deve fare, a differenza dello Stato) e ricostruire la sua identità e la sua struttura organizzativa.
Ciò non significa che non si possa far finta di essere disponibili al dialogo. Ma solo a certe condizioni, che vanno pubblicizzate come accomodanti ma sulle quali non si deve cedere neanche di un millimetro, con il doppio vantaggio di poter promuovere il proprio programma e di indurre Draghi a rifiutare per accontentare i suoi alleati di destra, imbarazzando il Pd. È un gioco ancor più redditizio dell’altro ma bisogna saperlo giocare: è alla portata dell’attuale dirigenza del Movimento? Le condizioni che porrei io sono le seguenti: 1) un canale Rai controllato dal M5S, immediatamente, ossia ancor prima della fiducia o nelle 24 ore successive all’insediamento del governo; 2) immediata revoca della concessione autostradale ai Benetton, seguita dalla nazionalizzazione del settore; 3) esclusione di Italia viva dalla maggioranza (o noi o loro); 4) una riforma elettorale con ritorno al proporzionale puro; 5) una legge contro le concentrazioni editoriali e con un drastico tetto ai proventi pubblicitari; 6) una riforma fiscale a vantaggio della classe media e della piccola e media imprenditoria nazionale con penalizzazione delle grandi multinazionali straniere.
Richieste assurde? Se lo pensate siete prigionieri della logica liberista e Draghi è il primo ministro che fa per voi. Proposte inattuabili nei tempi brevi? Certo, ed è per questo che il M5S al governo non avrebbe potuto avanzarle ma dall’opposizione può e deve farlo, a spostare gradualmente l’equilibrio politico verso posizioni antiliberiste, e per cominciare ad abbandonare il liberismo selvaggio che sta distruggendo il nostro paese e il pianeta.
Le riforme che da sempre i pentastellati perseguono richiedono una rivoluzione sociale e culturale e le condizioni necessarie (anche se purtroppo non sufficienti) di ogni rivoluzione sono due: un’impeccabile organizzazione politica e una base motivata. È il momento di costruirle: se non ora, quando?

Articolo di  Francesco Erspamer  da Facebook da InAltoiCuori.com 

Francesco Erspamer è professore di Letterature romanze a Harvard. Si interessa di storia delle idee e delle trasformazioni culturali, in particolare fra Otto e Novecento e nella contemporaneità.

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