Mi rendo conto che a chi ha abbassato le saracinesche del proprio negozio (e oggi non sa se e quando le tirerà su), a chi ha paura che le banche gli portino via la casa che ha impegnato per comprare nuovi macchinari per la sua azienda o ai titolari di palestre e piscine (e a tutti i loro dipendenti) – tra le categorie più martoriate degli ultimi mesi – importi poco o nulla del conflitto di interessi. Tuttavia è bene sapere che conflitto di interessi significa accentramento di potere, significa prevaricazione economica di taluni su altri, significa spreco di denaro pubblico. Essere in conflitto di interessi può determinare gli stessi effetti di corrompere, solo che nel nostro Paese è legale. È legale essere il presidente di una forza politica al governo e, contemporaneamente, possedere un impero mediatico capace di influenzare opinioni e diffamare avversari. È legale che un ministro della Repubblica si occupi della banca dove il padre è vice-presidente. È legale che un ex-Presidente del Consiglio, nonché segretario di un partito anch’esso al governo, nonché senatore della Repubblica, riceva fiumi di denaro da organizzazioni estere per “deliziare” platee estere, in conferenze estere. È legale che ministri dell’economia e delle finanze, nonché sottosegretari all’economia, nonché direttori generali del Tesoro, lascino incarichi pubblici (durante i quali si sono occupati del sistema bancario) per sedersi in ruoli apicali e strapagati nelle principali banche d’affari. È legale che il principale gruppo industriale italiano possieda contemporaneamente il più grande impero mediatico. Tutto questo oggi è legale, ma resta immorale, ed è ancor più immorale il fatto che si sia smesso di informare la pubblica opinione sulle conseguenze nefaste dei conflitti di interessi. Il governo Draghi non è il governo dei migliori, è il governo dei conflitti di interessi.
D’altro canto, in passato, in conflitto di interessi, vi fu lo stesso Draghi. Draghi fu direttore generale del Tesoro dal 1991 (VII governo Andreotti) al 2001 (II governo Berlusconi). Nei dieci anni alla guida del Tesoro fece sottoscrivere allo Stato una valanga di titoli derivati con banche d’affari, molti dei quali fecero perdere all’Italia migliaia di miliardi delle vecchie lire.
Inoltre fu uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni, stagione che vide protagonisti, ancora una volta, gli istituti finanziari internazionali. Nel 2000 il fondo Whitehall controllato da Goldman Sachs, si aggiudicò il patrimonio immobiliare dell’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi fondato da Enrico Mattei per rendere l’Italia un Paese sovrano dal punto di vista energetico. Nel 2002, un anno dopo aver lasciato il Tesoro, Mario Draghi venne assunto in Goldman Sachs dove gli venne assegnato il ruolo di Vicepresidente per l’Europa.
La stessa brillante carriera toccò anche ai due successori di Draghi al Tesoro: Grilli e Siniscalco. Il primo, nel 2006, venne assunto in Morgan Stanley, il secondo, nel 2014, divenne Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Berlusconi oggi sembra innocuo. Ha 85 anni e gaffes e battute non indignano più come ai vecchi tempi. Tuttavia patrimonio ed impero sono sempre gli stessi e, come ai vecchi tempi, determinano pressioni sulle istituzioni e su chi ha l’onore di legiferare.
D’altronde se i suoi luogotenenti, a partire da Gianni Letta, non fossero più potenti, una legge sul conflitto di interessi sarebbe già stata approvata. Oggigiorno il fatto che un politico così influente (ha guidato la delegazione del suo partito alle ultime consultazioni ed ha fornito nomi di papabili ministri al Premier incaricato) controlli, di fatto, decine tra reti televisive, emittenti radiofoniche e testate giornalistiche, oltre che banche, società di assicurazione, costruzioni ed investimenti è dato per scontato. Ormai ha 85 anni sostiene l’italiano medio.
Chiaramente neppure Berlusconi è eterno, ma suo figlio dirige Mediaset, sua figlia il gruppo Mondadori ed il figlio di Gianni Letta Medusa produzioni. Tutti bastioni dell’impero. Sia chiaro, a me non scandalizza né l’impero in sé e neppure le scelte dinastiche. Mi scandalizza il fatto che nessuno più si scandalizzi di tale conflitto di interessi: un impero economico, mediatico e finanziario che ha ramificazioni nella politica, dunque nelle Istituzioni, ciò che, teoricamente, dovrebbe essere il più indipendente possibile.
Della Boschi che, da Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, chiese all’ex-AD di Unicredit Ghizzoni, disponibilità per l’acquisizione di Banca Etruria, la banca dove il babbo era dirigente, non importa più a nessuno. Come, probabilmente, presto non importerà più a nessuno che il senatore Renzi, in piena pandemia e durante una crisi di governo da lui innescata, sia volato in Arabia Saudita per partecipare ad una conferenza organizzata dal FII Institute, un istituto controllato dal Saudi public investment Fund, il fondo sovrano saudita.
In Italia, purtroppo, è legale che un senatore della Repubblica riceva denari da uno Stato estero, uno Stato, tra l’altro, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Chi ci garantisce che non vi sia stato conflitto di interessi tra le scelte del Presidente del Consiglio Renzi e la sua carriera da conferenziere? Quale politico o forza politica al tempo del governo dell’assembramento pericoloso avrà la forza di imporre al Parlamento di risolvere il conflitto di interessi? Nessuno.
Nelle prossime settimane, con ogni probabilità, l’ex-Ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan lascerà il suo scranno alla Camera per sedersi sulla poltrona da Presidente di Unicredit. Tratterà, presumibilmente, l’acquisizione da parte di Unicredit di Monte dei Paschi, l’istituto salvato grazie ad un decreto che Padoan firmò quando era a capo del Ministero dell’economia. In pochi avranno la forza e, soprattutto, la libertà di opporsi.
Ed i giornali? Come potranno combattere i conflitti di interessi i giornali berlusconiani? Come potrà farlo Il Sole 24 ore, avendo come editore Confindustria, il principale “azionista” del governo Draghi? Vi fu un tempo in cui certe battaglie venivano portate avanti da La Repubblica. Oggi La Repubblica fa parte del più potente impero industriale-finanziario-mediatico “italiano”. Italiano tra virgolette chiaramente.
Un impero che va dai giornali (La Repubblica, La Stampa, The Economist, Il Tirreno, Il Mattino di Padova, Il Secolo XIX, La Nuova Sardegna, Il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, La Gazzetta di Mantova, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, L’Huffington Post, Business Insider Italia, Mashable Italia, Il Corriere delle Alpi, La Nuova Ferrara, La Nuova Venezia, L’Espresso, Limes, Micromega) alle radio (Radio Capital, Radio Deejay) alle società di calcio (Juventus FC), alle industrie automobilistiche (FIAT, Chrysler, Jeep, Opel, Alfa Romeo, Dodge, DS Automobiles, Citroën, Ferrari, Peugeot).
Un impero dominato da una singola persona: John Elkann. Elkann è Presidente del Gruppo GEDI, colosso editoriale tra i principali sponsor del governo dell’ammucchiata selvaggia! Non dovrebbe esser proibito per legge un tale accentramento di potere mediatico nelle mani dei più potenti del mondo? Non c’è il rischio che tali conflitti di interesse comprimano il diritto all’informazione e, dunque, la possibilità da parte della pubblica opinione di essere, davvero, indipendente?
Come il governatore Draghi ha lavorato per le fusioni bancarie così il Presidente Draghi lavorerà per favorire tutto quel che è già grande. I grandi poli mediatici, i grandissimi gruppi industriali, le grandi banche d’affari, le grande potenze mondiali e questo nonostante le loro scelte spesso siano in contrasto con gli interessi della stragrande maggioranza degli italiani. Ma la stragrande maggioranza dei parlamentari ha detto sì. E l’unico partito, ad oggi, all’opposizione penserà più a lucrare elettoralmente che a fare battaglie culturali invise all’establishment.
Perché certe battaglie, se le conduci realmente, ti emarginano, ti indeboliscono, pregiudicano la tua carriera politica anche se rafforzano le coscienze di chi non si piega al governo unico. Di conflitto di interessi si parlerà sempre meno. In pochi hanno interesse a farlo. Lo faranno i pochi intellettuali liberi rimasti, i pochi giornali corsari, i piccoli imprenditori che conoscono bene raccomandazioni e corsie privilegiate anche nel mondo industriale italiano.
Mi auguro che lo faranno sempre più cittadini, nonostante i tentativi quotidiani di distrarli con l’effimero per impedire che si dedichino al sostanziale: ovvero ai loro diritti. D’altro canto la distrazione di massa è l’arma principale in mano a chi pensa solo ai propri interessi lasciando gli emarginati della terra, in perenne conflitto.
Articolo di Alessandro Di Battista per TPI.it