tutte le ombre di McKinseyDalla crisi degli oppioidi alla connivenza con i regimi autoritari fino all’appoggio per le politiche anti-migranti di Trump: il vero scandalo in fin dei conti è aver scelto per il Recovery Fund proprio McKinsey (e non altre società), la più controversa tra le big companies di consulenza globale per le vicende in cui è rimasta coinvolta.  La scelta del governo Draghi di assoldare nel percorso di riscrittura del Recovery Plan il big americano della consulenza aziendale McKinsey, già chiamato in passato a collaborare con Palazzo Chigi su vari dossier, ha acceso lo scontro politico.  Il ministero dell’Economia con un comunicato pubblicato sul suo sito puntualizza che “la governance del PNRR italiano è in capo alle Amministrazioni competenti e alle strutture del MEF che si avvalgono di personale interno degli uffici” e quindi che McKinsey non è coinvolta nella definizione dei progetti, i cui aspetti decisionali “restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia”.  McKinsey però, ammette alla fine via XX Settembre, lavora “all’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Il contratto – fa sapere il ministro Daniele Franco – “ha un valore di 25mila euro +IVA ed è stato affidato ai sensi dell’art. 36, comma 2, del Codice degli Appalti”.  Uno dei cosiddetti contratti diretti “sotto soglia”. Quindi, senza gara e senza consultare concorrenti.

Il rapporto con il governo italiano passa attraverso il ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao, un McKinsey Boy cresciuto nella società prima di diventare un manager di successo. Colao ha già usufruito delle consulenze di McKinsey quando era a capo della commissione istituita dal governo Conte per la fase 2 della pandemia. E, andando più indietro nel tempo, nel 2014 il consigliere economico principale del governo Renzi era Yoram Gutgeld, manager con diversi anni d’esperienza nella consulting firm. Questa volta, invece, McKinsey farà per l’Italia una fase di lavoro bottom up in cui deve fornire analisi dei dati e di impatto sull’occupazione e sul prodotto interno lordo dei progetti del Recovery Plan e confrontare il piano italiano con quello degli altri paesi europei. Dall’analisi di questi dati, può dipendere la scelta politica.

Ovviamente non si tratta di una novità, sono molte le società che svolgono consulenze per conto di governi e istituzioni ovunque nel mondo. Ma in questo caso è grave il fatto che la stipula del contratto sia avvenuta segretamente, senza che il presidente del Consiglio abbia mostrato l’intenzione di renderne conto al Parlamento e all’opinione pubblica. Mario Draghi, infatti, non si è esposto minimamente (anche nel suo video-messaggio per l’8 marzo, sua seconda apparizione pubblica, non ha accennato all’argomento) e questo rischia di amplificare una vicenda già eticamente criticabile.

McKinsey oggi è diventata una specie di governo ombra, e non soltanto negli Stati Uniti: consiglia alle grandi aziende come interagire con i governi, ai governi quali servizi esternalizzare alle aziende, agli investitori in quali aziende investire, con tutti gli inevitabili conflitti di interesse che ne derivano.

Se proprio il governo italiano non ha risorse interne adeguate per distribuire il più importante piano di ripresa economico dal secondo dopoguerra a oggi, che almeno si avvalga di una società inattaccabile. E non è certo il caso di McKinsey. Per capire perché dobbiamo ripercorrere le ultime inchieste e scandali internazionali in cui è stata coinvolta.

Come McKinsey ha fatto crescere i regimi autoritari nel mondo

Primo punto: McKinsey sicuramente non è selettiva nella scelta dei suoi clienti. L’iconica azienda americana, secondo un’inchiesta del New York Times, ha contribuito a far espandere governi autoritari e corrotti in tutto il mondo. Tra i suoi clienti ci sono anche la monarchia assoluta dell’Arabia Saudita, la Turchia sotto la guida autoritaria del presidente Recep Tayyip Erdogan e governi afflitti dalla corruzione in Paesi come il Sudafrica. Il suo ampio e controverso lavoro di consulenza riguarda tutti gli angoli del globo.

Il contesto politico non le è mai interessato troppo: è stato così in Cina, dove la McKinsey per un quarto di secolo si è unita a molte società americane per aiutare ad alimentare l’ascesa del Dragone verso la seconda posizione nelle economie mondiali. McKinsey ha fornito consulenza ad almeno 22 delle 100 più grandi aziende statali cinesi. Poco importa se proprio nel luogo dell’incontro con i partner c’è il più grande campo di internamento della minoranza etnica degli uiguri dove il governo cinese ha rinchiuso fino a un milione di persone e per il quale le Nazioni Unite hanno più volte denunciato le violazioni dei diritti umani per le detenzioni di massa. Altri esempi? Uno dei clienti statali della società ha persino contribuito a costruire le isole artificiali della Cina nel Mar Cinese Meridionale, diventate un importante punto di tensione militare con gli Stati Uniti.

Ancora, in Ucraina, McKinsey e Paul Manafort – presidente della campagna elettorale del presidente Trump, poi condannato per frode finanziaria – sono stati pagati dallo stesso oligarca per contribuire a riabilitare l’immagine di un candidato alla presidenza caduto in disgrazia, Viktor F.Yanukovich, facendolo apparire come un riformatore. Vi dice qualcosa questo nome? Una volta in carica, il signor Yanukovich ha respinto l’Occidente, si è schierato con la Russia ed è fuggito dal Paese, accusato di aver rubato centinaia di milioni di dollari. Gli eventi hanno scatenato anni di caos e conflitti in Ucraina e una situazione di stallo internazionale.

Nella stessa Russia, McKinsey ha lavorato con società collegate al Cremlino che sono state sanzionate dai governi occidentali – società che l’azienda ha contribuito a costruire nel corso degli anni e, in alcuni casi, continua ancora a consigliare. Ha svolto consulenze in molti settori dell’economia russa, tra cui estrazione mineraria, manifatturiera, petrolio e gas, banche, trasporti e agricoltura. Addirittura, un funzionario della McKinsey sedeva nel consiglio per l’energia del governo russo. E, soprattutto, non mancano le porte girevoli: come spesso accade, gli ex consulenti di McKinsey sono stati assunti nelle società russe per cui lavoravano da esterni prima.

Ma non è finita: in Malesia, la società è stata implicata in una consulenza per uno dei casi di corruzione più grandi al mondo. In pratica, McKinsey rappresentava entrambe le parti coinvolte nella costruzione della ferrovia per la Belt and Road Initiative, un’impresa globale da mille miliardi di dollari finanziata da grandi prestiti cinesi e solitamente costruita da società cinesi. La principale tra loro è la China Communications Construction Company, un colosso statale a cui è stato impedito per otto anni di fare affari su alcuni progetti della Banca Mondiale a causa di uno scandalo di corruzione, e che ha svolto un ruolo di primo piano nella costruzione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale che hanno sollevato le tensioni con gli Stati Uniti. Nel 2015 McKinsey ha cominciato a gestire la sua strategia. Mesi dopo, è arrivato un altro contratto: quello con il governo malese, per rivedere la fattibilità della linea ferroviaria.

In una presentazione PowerPoint confidenziale, McKinsey spiegava ai funzionari malesi che la linea ferroviaria avrebbe aumentato la crescita economica in alcune parti del Paese fino all’1,5 per cento. Era una cifra che il primo ministro dell’epoca, Najib Razak, ora accusato di corruzione, amava citare. E McKinsey ha appoggiato l’idea di un forte indebitamento con la Cina. Non è difficile capire da dove provenisse l’entusiasmo di McKinsey per la Belt and Road Initiative: la società aveva promosso la politica cinese ai massimi livelli dell’azienda. Così, nove dei primi 20 appaltatori Belt-and-Road sono sono stati clienti McKinsey, secondo una ricerca di The Times fatta con i numeri di RWR Advisory Group. E nel 2016, il cliente di McKinsey, China Communications, ha “casualmente” vinto il contratto da 13 miliardi di dollari per costruire la ferrovia malese.

Ma quello che il New York Times racconta come “il più grave errore dei suoi 90 anni di storia”, McKinsey l’ha commesso in Sudafrica, dove nel 2015 stipulò un contratto da decine di milioni di dollari per conto di Eskom, la società elettrica nazionale. McKinsey, si è scoperto solo nel 2018, lavorò per Eskom insieme a un’altra società di comodo, controllata dalla famiglia Gupta, al centro del grave scandalo di corruzione che ha portato alle dimissioni dell’ex presidente sudafricano Jacob Zuma. L’accusa è che McKinsey si sia arrischiata in un affare sul quale aveva pochissime garanzie, facendosi così coinvolgere in un complicato sistema per sottrarre fondi pubblici per decine di milioni di dollari. McKinsey ha negato di aver commesso delle illegalità, ma ha ammesso di aver fatto degli errori di valutazione nella gestione di quello che è stato il più importante contratto della sua storia in Africa, ma anche il più controverso.

Corruzione, violazione de diritti umani, conflitti d’interesse. Questi qui sopra sono solo alcuni degli “esemplari” affari della McKinsey, ma la vera domanda è se la società, nel perseguire legittime opportunità di business all’estero, stia contribuendo a sostenere leadership autocratiche in giro per il mondo.

Il report per il regime saudita che ha fatto arrestare i dissidenti

Un capitolo a parte merita la consulenza fornita all’Arabia Saudita. Secondo il New Yorker, nel 2018 la consulting firm ha prodotto un report per il regime saudita per misurare la risposta popolare alle misure di austerity introdotte.

Nel report vengono individuati tre dissidenti che “guidavano la conversazione su Twitter”: lo scrittore Khalid al-Alkami; un giovane dissidente residente in Canada chiamato Mr. Abdulaziz; e un utente anonimo chiamato Ahmad. Dopo la pubblicazione del report, Mr. Alkami viene arrestato, due fratelli di Mr. Abdulaziz vengono incarcerati, e all’utente anonimo vengono chiusi tutti i social.

La repressione contro i migranti sotto Trump

Come abbiamo visto, le consulenze di McKinsey spaziano in molti campi dell’economia e della gestione delle risorse e sfociano poi, di fatto, in scelte politiche. ProPublica in un enorme lavoro di raccolta di dati ha rivelato che l’amministrazione Trump si è affidata a McKinsey perfino per gestire una questione che di solito è considerata di sicurezza nazionale e non appaltabile a privati: le politiche migratorie.

Per un compenso stimato intorno ai 20 milioni di dollari, McKinsey ha spiegato all’Immigration and Customs Enforcement come aumentare i rimpatri di migranti irregolari. E McKinsey ha fatto quello che sa fare meglio: ha suggerito di liberare risorse per accelerare le procedure, con un drastico taglio dei costi. Che nel caso di migranti irregolari detenuti sono cibo, assistenza medica e servizi vari.

Sempre ProPublica ha rivelato che la consulenza milionaria alla città di New York su come ridurre la violenza in carcere a Rikers Island era basata su numeri falsi: McKinsey sosteneva che grazie al programma che aveva elaborato gli episodi di violenza tra guardie carcerarie e detenuti si erano ridotti del 50 per cento, mentre in realtà erano aumentati della stessa percentuale.

Il ruolo di McKinsey nella devastante crisi degli oppioidi

Il colosso newyorchese non si è fermato neanche davanti alla salute delle persone. McKinsey ha contribuito ad alimentare l’epidemia di dipendenze da farmaci a base di oppioidi fornendo consulenza di marketing a produttori di farmaci. Per questo ha accettato di pagare quasi 600 milioni di dollari per chiudere un contenzioso con 49 stati Usa per il ruolo che avrebbe svolto nel promuovere la vendita del farmaco OxyContin della casa farmaceutica Purdue Pharma.

Il medicinale, un oppioide antidolorifico, provoca una fortissima dipendenza e ha causato negli Stati Uniti 400mila morti oltre ad un forte aumento della criminalità. Nel 2020 Purdue si è dichiarata colpevole e ha pagato 8 miliardi di dollari. McKinsey non ha invece ammesso le sue responsabilità ma dai vari procedimenti a suo carico sono emerse rivelazioni inquietanti. McKinsey ha infatti progettato gli schemi di marketing di Purdue, incluso un piano per “potenziare” le vendite di OxyContin al culmine dell’epidemia di oppioidi. Tra i consigli per massimizzare i profitti anche quello di concentrarsi su dosi più elevate e più redditizie.

McKinsey ha poi incoraggiato Purdue a convincere i produttori di oppiacei ad unirsi per fare pressione e ottenere l’ammorbidimento dei vincoli alle vendite imposti dalla Food and Drug Administration (l’autorità statunitense che vigila sui farmaci). La società ha anche fornito consulenza su come “contrastare i messaggi emotivi delle madri con adolescenti vittime di overdose di OxyContin”. L’OxyContin è tristemente noto come “eroina di montagna” poiché le prime situazioni di dipendenza su larga scala si sono verificate in paesi dei monti Appalachi.

C’è di più. L’emittente NBC news ha scoperto che la multa pagata da McKinsey potrebbe andare a favore della stessa società di consulenza. In che modo? Come racconta anche molto bene Francesco Costa nel libro “Questa è l’America”, una buona parte dei 573 milioni di dollari versati verrà infatti destinati a programmi statali che finanziano centri di trattamento delle dipendenze e a servizi di recupero. McKinsey controlla di fatto il fondo MIO partners che raccoglie e investe le pensioni di 30mila tra dipendenti ed ex dipendenti della stessa società di consulenza.  E gli investimenti del fondo, in tutto circa 14 miliardi di dollari, vengono decisi da un consiglio composto anche da attuali partner della società.

Tra le partecipazioni di MIO c’è anche una quota, che è stata via via rafforzata nel corso degli anni, in Derfield Management Co., società di investimenti specializzata nel settore sanitario che ha tra i suoi alti dirigenti anche due ex McKinsey. A sua volta Deerfield ha acquisito grosse partecipazioni in diversi produttori di oppioidi. Nel 2017 era azionista al 6 per cento di Mallinckrodt che nel 2020 ha presentato istanza di fallimento dopo aver affrontato enormi responsabilità legali per il ruolo svolto nella crisi. Dal 2011 al 2016, Deerfield ha detenuto una partecipazione da 90 milioni in Teva Pharmaceuticals. Quando il caso OxyContin inizia ad esplodere, Deerfield sposta i suoi investimenti. Attraverso un gestore estero, la società diventa ad esempio socia al 26 per cento di Adamis Pharmaceuticals, che sviluppa prodotti per il trattamento dell’overdose da oppioidi e ora potrà beneficiare dei fondi raccolti dalle sanzioni. Tra il 2015 e il 2016 vengono investiti 331 milioni di dollari in strutture per la cura delle dipendenze in Massachusetts, New Jersey, Pennsylvania e in altri stati che potrebbero ricevere parte dei soldi pagati da McKinsey. La strategia di investimento di Deerfield verrà definita da un’associazione che si batte contro la dipendenza da oppioidi come una “integrazione verticale nel disagio umano”. E così il cerchio si chiude.

La contestata campagna vaccinale che la Francia ha affidato a McKinsey

Passando all’Europa, la McKinsey ha messo gli occhi anche sul piano vaccinale contro il Coronavirus. In particolare, in Francia il governo di Emmanuel Macron ha staccato un assegno da 3,4 milioni di euro senza che la popolazione fosse informata. I dettagli della missione di “implementazione vaccinale” sono stati rivelati dalla deputata conservatrice Veronique Louwragie, relatrice del bilancio sui temi della sanità.

Come ha sottolineato il New York Times, però, la gestione della campagna è stata tutt’altro che efficiente: ancora oggi la Francia è in fondo alla classifica dei Paesi dell’Unione Europea per percentuale di dosi somministrate rispetto alla popolazione, con il 7,71 per cento di persone immunizzate, un valore che in Italia e Germania supera l’8 per cento, in Spagna il 9 per cento secondo il monitoraggio di Ourworldata.

McKinsey avrebbe dovuto assicurarsi che le dosi di vaccino fossero distribuite più velocemente alle case di cura, agli operatori sanitari e agli anziani. Eppure dopo poche settimane dall’inizio della campagna, la Francia aveva inoculato solo “alcune migliaia di dosi di vaccino”, secondo quanto reso noto dal ministro della Sanità francese, Olivier Veran, rispetto alle 230mila dosi distribuite in Germania e alle 110mila dalle autorità sanitarie italiane a inizio gennaio. Tra l’altro, dopo aver messo in luce il coinvolgimento di McKinsey, la deputata del partito repubblicano Louwragie ha scoperto che negli ultimi dieci mesi sono stati siglati tra il governo e le società di consulenza ben 26 contratti in diversi settori, “uno ogni due settimane”.

Con Alitalia l’inadempienza contrattuale

Anche in Italia, prima dell’attuale dibattutissimo incarico per il Recovery, avevamo già avuto esperienze con McKinsey. E non si possono definire tutte esemplari. Nel 2015 il tribunale di Milano decretò che la società di consulenza doveva risarcire Alitalia di circa 11,8 milioni di euro per inadempienza contrattuale parziale nei confronti della compagnia.

Si trattava di 50 milioni di euro di consulenza che sono stati citati come esempio di cattiva gestione anche nell’emissione delle quattro condanne per il crac della compagnia aerea a carico degli ex vertici Giancarlo Cimoli (presidente e amministratore delegato dal 2004 al 2007), Francesco Mengozzi, Gabriele Spazzadeschi e Pierluigi Ceschia, condannandoli ad alcuni anni di reclusione e al risarcimento di 350 milioni in favore delle parti civili.

Il motivo della potenza internazionale

Perché allora, nonostante tutti questi disastri di immagine, McKinsey resta ancora oggi così potente? Perché è una fucina incredibile di top manager. Questa lista fa impressione: moltissimi dei suoi ex consulenti sono oggi capi di governo, vertici delle maggiori multinazionali al mondo. E poi, a dirla tutta, perché le grandi società di consulenza hanno costruito un oligopolio fondato sui conflitti di interesse, gli scambi di informazione tra un settore e l’altro, la rapace capacità di usare le esperienze in un campo per fare soldi in un altro, senza altro interesse che il profitto.

Matt Stoller, del think tank Open Market, ha rivelato che McKinsey riesce a farsi pagare dal governo americano tariffe incredibili, oltre 56.000 dollari a settimana per un “business analyst”, spesso un laureato appena uscito dalla triennale, che di quei soldi ne vede forse un ventesimo. Il resto è profitto puro per McKinsey. E i suoi concorrenti non sono da meno, Boston Consulting Group si fa pagare 33.000 dollari a settimana per uno stagista.

Sono prezzi che puoi ottenere soltanto quando hai costruito un mercato in cui il cliente (nel loro caso gli Stati) è completamente catturato in un rapporto che è legale, ma politicamente ed eticamente condannabile. Ecco a chi stiamo affidando il Recovery Plan in Italia.

Articolo di Veronica Di Benedetto Montaccini per TPI.it 
 

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