«Se si arriverà a una crisi di governo la soluzione corretta è ridare la parola agli italiani, perché il livello della crisi è talmente drammatico che nessun governo parlamentare la potrebbe affrontare. Bisogna combattere per voltare pagina». Sembra quasi che Nicola Zingaretti se lo debba levare di dosso, il sospetto di essere quello chiamato a riaprire le trattative col Movimento Cinque Stelle, in caso di crisi di governo. Come se debba convincere qualcuno che non è così, che il Pd non fa i ribaltoni di Palazzo, e soprattutto che che tra Lega e Movimento non ci sono differenze, ma solo una siderale equidistanza dal valori e dalle proposte politiche del Partito Democratico. Con loro, mai.
E qui sta il primo errore, invece, che è strano (ma fino a un certo punto) che vada a colpire la forza politica più esperta e istituzionale di tutto l’emiciclo parlamentare. Lega e Cinque Stelle, al contrario del Pd, hanno capito benissimo che in questo contesto, con una legge elettorale proporzionale e con tre poli (almeno) che si contrappongono l’uno all’altro, allearsi tra avversari è una opzione di gioco che va necessariamente presa in considerazione, se si vuole governare. Non farlo, vuol dire candidarsi all’opposizione perenne, un po’ come accadde a Pci e Msi durante la prima repubblica. Non esattamente il migliore dei destini, per una forza come il Pd, nata per essere di governo.
Beh, direte voi, Zingaretti non ha detto che non si alleerà con nessuno. Ha detto che se cade il governo bisogna tornare al voto. Vero, e qui sta il secondo errore. Perché sebbene il contesto sia tripolare e che nessuna delle tre forze in campo (Lega e alleati, Cinque Stelle, Pd e alleati) abbia la maggioranza assoluta dei consensi, l’attuale legge elettorale e gli attuali consensi accreditati alle diverse forze politiche offrono a Salvini su un piatto d’argento la possibilità di governare assieme ai suoi alleati di centro destra, o addirittura da solo. Per comprenderlo, basta conoscere l’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum. Col Carroccio avanti di almeno dieci punti su base nazionale, non c’è probabilmente collegio uninominale in cui non trionferebbe il candidato leghista. A spanne, una Lega al 30%, forte com’è ora su tutto il territorio nazionale, potrebbe contare su 322 deputati su 630 anche correndo da sola. Col supporto di Fratelli d’Italia e Forza Italia, di fatto, avrebbe una maggioranza schiacciante in tutte e due le camere. È questo, quel che vuole Zingaretti, quando dice si torni al voto?
Di sicuro - terzo errore - non è quel che vuole Mattarella, e ha ragioni molto valide per non volerlo. Prima tra tutte: l’elezione del nuovo capo dello Stato. Che, si andasse a elezioni anticipate tra qualche mese, con i risultati delineati poche righe fa, sarebbe eletto da Salvini e Meloni, senza alcuna possibilità di trattativa. Ciao ciao Mario Draghi, quindi. E cominciate ad abituarvi all’idea di un Quirinale sovranista e anti-europeista, in un momento cruciale per i destini dell’Unione Europea e del ruolo che l’Italia vuole giocare al suo interno. Se vogliamo diventare la nuova Ungheria o la nuova Polonia, non abbiamo che da tornare alle urne il prima possibile.
"Davvero vi fa più schifo di quel che abbiamo visto finora? Davvero vi fa più schifo di quel che potrebbero fare da soli Salvini e Meloni, passando dalle urne?"
Il quarto errore è credere sia giusto così. Che se il Paese vuole Salvini, che Salvini sia. E invece no. Perché la schiacciante maggioranza di centrodestra sarebbe tale in Parlamento, non nel Paese. E lo sarebbe, banalmente, perché chi si oppone a quella maggioranza è diviso e incapace di trovare un accordo. Sia chiaro: oggi come oggi non è possibile che Pd e Cinque Stelle sostengano gli stessi candidati all’uninominale. Ma se lo facessero, probabilmente, strapperebbero parecchi collegi al centro destra ed eviterebbero una vittoria di Salvini. Un’eventuale alleanza parlamentare, nel contesto dell’attuale parlamento, per quanto possa sembrare innaturale ora, non sarebbe un tradimento di nessun voto popolare. Non più di quanto lo sia l’attuale alleanza Lega-Cinque Stelle.
Quinto errore? L’idea che il Pd abbia tutto da perdere da un’alleanza coi Cinque Stelle. Può essere, sia chiaro. Ma non è stato così per la Lega, che da quando è al governo con Di Maio ha raddoppiato i consensi. E non è stato così nemmeno per il Psoe spagnolo, che ha incrementato i consensi durante la sua breve esperienza di governo insieme a Podemos. Perché Salvini e Sanchez hanno incrementato i loro consensi governando con una forza “populista” mentre il Pd dovrebbe per forza perderne? Mistero.
Sesto e ultimo errore, quello di credere che non ci sia alcun punto di contatto programmatico tra Pd e Cinque Stelle. Ditelo a Marco Minniti, che coi Cinque Stelle era arrivato a definire i dettagli di un’ipotetica alleanza, i cui punti programmatici stanno nella lettera inviata al Corriere da Luigi Di Maio qualche ora prima che Matteo Renzi, a Che Tempo Che Fa, decidesse di rompere unilateralmente ogni trattativa: maggior integrazione europea attraverso l’unione fiscale, revisione del trattato di Dublino, flexecurity alla danese nel mercato del lavoro, salario minimo, banca pubblica per gli investimenti sul modello francese, investimenti nella sanità, aumento delle detrazioni fiscali per i figli a carico. Questi erano i punti fondanti dell’accordo, stando a quella lettera. Davvero vi fa più schifo di quel che abbiamo visto finora? Davvero vi fa più schifo di quel che potrebbero fare da soli Salvini e Meloni, passando dalle urne? Pensateci bene, perché mai come ora tertium non datur.
Articolo di Francesco Cancellato per LInkiesta.it