Negli ultimi mesi, l’attenzione del mondo intero si è focalizzata sulla terribile epidemia di ebola che sta colpendo il Congo e le aree ad esso limitrofe: purtroppo però non si tratta della sola piaga che affligge l’Africa centrale, che dall’inizio del 2019 ad oggi sta vivendo una delle più grandi crisi umanitarie della sua storia anche a causa di un’altra terribile malattia che minaccia di raggiungere anche Asia ed Europa: la malaria. Un disastro annunciato. Il centro dell’epidemia che sta colpendo il cuore dell’Africa è situato a poca distanza dal Congo orientale, dove ebola sta mietendo la maggior parte delle sue vittime: il Burundi è infatti il Paese che sta sostenendo il numero più elevato di perdite, che da gennaio a oggi si stimano attorno alle 1800 persone.
Questa cifra -che si avvicina di molto a quella dei morti per ebola nella regione congolese del Kivu, circa 1900-, diventa ancora più impressionante se si tiene conto del numero totale di contagi, ovvero quasi 6 milioni di persone, la metà della popolazione del piccolo Stato situato nel cuore della regione dei Grandi Laghi. Se consideriamo che la precedente epidemia di malaria in Burundi, quella scoppiata del 2017, aveva portato al contagio di altrettante persone in quasi il doppio del tempo (12 mesi) potremo renderci conto dell’entità di questa catastrofe, che va ben oltre i confini nazionali: eppure, il governo burundese rifiuta categoricamente di dichiarare lo stato di emergenza, per il quale diverrebbe d’obbligo mettere in campo un piano di contrattacco che le stesse Nazioni Unite hanno recentemente dichiarato irrealizzabile “per la drammatica mancanza di risorse, mezzi e competenze necessari”. In effetti, rendere pubblica l’entità dell’epidemia sarebbe un duro colpo per il presidente Pierre Nkurunziza, che a meno di un anno dalle prossime elezioni si trova a dover affrontare numerose sfide: ammettere in maniera esplicita il fallimento delle proprie politiche sanitarie è visto da alcuni come un possibile colpo mortale alla credibilità del capo dello Stato, ritenuto un personaggio controverso in patria e all’estero. E il problema non riguarda soltanto il Burundi, ma anche il vicino Uganda, che negli ultimi mesi ha visto un aumento del 40% dei contagi rispetto allo scorso anno, un dato allarmante che si affianca ai tre casi mortali di malaria registrati lo scorso giugno al confine con la Repubblica Democratica del Congo.
Un incubo di proporzioni inimmaginabili
L’inadeguatezza delle risorse del Burundi e dell’Uganda non è il solo problema che le autorità locali e l’Oms si trovano ad affrontare in questi mesi: la continua e ciclica somministrazione dei medesimi farmaci alla popolazione, ad esempio, potrebbe aver condotto alla creazione di anticorpi in grado di rendere i medicinali assolutamente inutili al contrasto del morbo (una situazione che si sta verificando anche in un’altra regione da sempre a rischio come il Sudest asiatico), mentre i cambiamenti climatici in corso nella regione dei Grandi Laghi vengono visti come la causa principale del proliferare dell’insetto responsabile della malattia, la zanzara, che trova terreno fertile in territori montagnosi e umidi. Un altro problema è dato dai bassi livelli di immunità presenti nell’organismo di alcune fette della popolazione burundese, che provenendo da distretti storicamente meno affetti da malaria non hanno potuto sviluppare adeguate forme di resistenza all’epidemia: le migrazioni interne al Paese, unite al sopracitato cambiamento delle abitudini della zanzara, sono purtroppo una combinazione letale per il propagarsi di questo flagello. In Uganda, la malaria è ancora oggi la principale causa di morte per i bambini sotto i cinque anni di età, mentre in altri Paesi africani il morbo miete numerose vittime per la mancanza di una diagnosi tempestiva e corretta: al contrario, si teme che numerose morti per ebola in Congo siano state provocate proprio dall’incompetenza degli staff medici locali, che avrebbero scambiato i sintomi febbrili causati dal virus per “semplice” malaria, trattandoli di conseguenza. Un errore fatale e decisamente evitabile che, dati alla mano, causa non poco sgomento: secondo le ultime cifrepubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2017 la malaria ha causato 435.000 morti su un totale di 219 milioni di contagi in tutto il mondo. Si tratta di numeri altissimi che allarmano medici e studiosi, e che, secondo la stessa Oms, “vanno visti come un’improvvisa battuta di arresto nella lotta alla malattia, che fino ad oggi poteva essere considerata in costante miglioramento”.
Lo spettro del contagio si allarga
Ma la paura non si ferma qui: sono sempre i cambiamenti climatici ad allarmare gli esperti, i quali ritengono che nei prossimi anni potremmo assistere ad un improvviso aumento dei casi di malaria e di altre malattie veicolate dalla zanzara -come dengue e chikonguya- anche in Medio Oriente e in Europa. A questo proposito, si teme in particolare per la Turchia, che a causa del progressivo inaridirsi di ampie porzioni del suo territorio, unito a una vaporizzazione delle risorse idriche (si prospetta un drastico calo delle precipitazioni fino al 50% nella sola regione egea), potrebbe trasformarsi in un enorme avamposto per la diffusione della malattia in tutto il bacino del Mediterraneo. E naturalmente vi sono anche quei casi insorti in persone di ritorno da un viaggio nelle aree più colpite o parte dei flussi migratori provenienti da queste ultime, che ad oggi in Europa rappresentano il 99% del totale: secondo il periodico specialistico tedesco Ärzteblatt, nel 2017 il Vecchio Continente avrebbe registrato ben 8.300 casi verificati di malaria, con un’incidenza estremamente elevata nei mesi di agosto e settembre. Tuttavia, l’eradicazione del morbo dalle nostre latitudini non è ancora completa, come dimostra il periodico insorgere di focolai “locali”, scoppiati cioè spontaneamente e senza alcun collegamento con soggetti malati provenienti da altri Paesi: ancora oggi la Grecia viene periodicamente colpita da casi di contagio, l’ultimo dei quali si è verificato lo scorso ottobre con 9 episodi verificati.
Come abbiamo visto, la situazione in Africa centrale è di assoluta emergenza, e ad oggi non sembra intenzionata a cessare: la mancanza di misure adeguate e la reticenza (per calcoli di natura puramente politica) del governo burundese a riconoscere l’entità dell’epidemia rischiano di portare i livelli di crisi a vette mai viste. Un dramma che ci riguarda molto più da vicino di quanto si possa pensare.
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