Il premier incaricato non vuole vice, le caselle chiave sotto vigilanza del Quirinale. Ai partiti resta poco. Stasera a Palazzo Chigi, di fronte a Conte, scontro tra Orlando-Franceschini e Patuanuelli-D'Uva. I Dem chiedono chiarimenti sull'ultimatum di Di Maio. Conte irritato: punta a una sintesi sul programma domenica. “Ma chi è Napoleone?”. Quando escono dalla Sala dei Busti di Montecitorio, dopo il loro turno di consultazioni con Giuseppe Conte, i dem Nicola Zingaretti, Graziano Delrio e Dario Stefano (in sostituzione del capogruppo al Senato Andrea Marcucci assente per un impegno personale) sono esterrefatti. E a qualcuno scatta il paragone con Bonaparte. Oggi i partiti hanno avuto la prova provata che nel nuovo Governo giallorosso potranno toccare palla solo per poche caselle. Non che si sia parlato di posti nell’incontro con il premier incaricato, si è parlato di programma. Ma il nuovo piglio dell’avvocato non lascia spazio a equivoci: “Sono di centrosinistra, è quello il mio dna”, è il massimo che concede al Pd.
Che è tanto, visto che fino a ieri era premier di un governo con Matteo Salvini. Per il resto, si mostra come premier con il mandato a decidere e un’agibilità politica che gli discende direttamente dal Colle.
Oltre un’ora di colloquio. Che non basta: visto che a sera, dopo che Luigi Di Maio lancia altri inaspettati ultimatum da Montecitorio, i Dem tornano alla carica da Conte a Palazzo Chigi. Cercano spiegazioni: “Il chiarimento sulle parole di Di Maio è la condizione necessaria per proseguire”. Stavolta ci vanno Orlando e Franceschini, ma la riunione si allarga subito ai pentastellati D’Uva e Patuanelli. E a Palazzo Chigi di fronte a Conte va in scena lo scontro tra i due partiti del nuovo futuro governo. Il premier irritatissimo da quanto accaduto oggi. Al termine dell’incontro, ci si aggiorna a domani mattina: nuovo incontro sul programma con Conte. L’idea - che il premier ha comunicato anche nelle consultazioni alla Camera - è di arrivare a un documento di sintesi sul programma entro domenica. Lunedì intanto Conte ha inserito in agenda un incontro con i rappresentanti delle popolazioni terremotate e delle associazioni dei disabili: sempre ai fini del programma.
Ad ogni modo, stamane alla Camera il segretario Pd, il capogruppo alla Camera Delrio e il senatore Stefano si trovano di fronte un premier incaricato che sa di poter decidere molto da solo, in accordo con il Quirinale che avrà l’ultima parola non solo sul ministero dell’Economia (come è successo l’anno scorso quando Sergio Mattarella si impuntò sul no a Paolo Savona proposto dalla Lega), ma anche su Esteri, Difesa, Viminale. Per l’Economia torna in quota Giovanni Tria, forte di rapporti ottimi con Mattarella. Resta poco per i partiti, il Pd ma anche il M5s. Non a caso, anche Luigi Di Maio dopo l’incontro con Conte punta i piedi di nuovo.
Il fatto è che Conte continua a ragionare su uno schema di governo senza vicepremier.Un’ipotesi che i partiti sarebbero pure disposti a ingoiare, se non fosse che l’assenza di vice scatena gli appetiti su altri incarichi. Se non fa il vice, Di Maio vuole per sé un dicastero pesante, difficile da ritagliare sulla sua persona. Il Pd gli concederebbe la Difesa, ma ci sarebbero perplessità dal Colle. E ai Dem non piacerebbe che Di Maio restasse allo Sviluppo economico, con tutti i ‘no’ che ha elencato anche dopo il colloquio con Conte nelle dichiarazioni alla stampa nella Sala della Regina di Montecitorio.
Ma il ‘premier Napoleone’, come lo hanno ribattezzato al Nazareno, vorrebbe anche un sottosegretario alla presidenza del Consiglio di sua fiducia. Nemmeno questa casella sarebbe a disposizione del Pd, come si ipotizzava all’inizio. Si tornerebbe invece ad una struttura di governo più tradizionale, con il premier affiancato da un sottosegretario a lui vicino. Insomma più il modello Gianni Letta con Silvio Berlusconi, che Giancarlo Giorgetti con il Conte 1. Il più gettonato è il pentastellato Vincenzo Spadafora, già sottosegretario con delega all’infanzia, pari opportunità e giovani nel governo gialloverde, uomo di fiducia del presidente del Consiglio incaricato.
E’ proprio questo il punto. In squadra con sé Conte vuole personalità fidate. Perché l’obiettivo del nuovo governo di riagganciare l’Europa deve partire già dalla tolda di comando: serve che sia chiara e snella. Europa, proprio lì dove l’avvocato ha già una squadra di fedelissimi, legati a lui più che a Di Maio già da mesi. Gli europarlamentari Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente dell’Eurocamera, la capo delegazione Tiziana Beghin, l’eurodeputata Laura Ferrara che a luglio, subito dopo il no della Lega alla nomina di Ursula von der Leyen presidente della Commissione, annunciò in aula la svolta pentastellata sull’immigrazione: “Il piano Moavero è la soluzione giusta”. E poi Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini. Insomma in Europa, lì dove è avvenuta la gestazione del nuovo governo, Conte ha il suo fortino di fedelissimi.
A Roma i gruppi parlamentari sono più legati a Di Maio. Già per quanto? Nei palazzi della politica, l’interrogativo aleggia intorno alle trattative sul governo. Molto dipende dalla casella che il capo politico riuscirà a conquistare. Ed è ancora tutto aperto. Tanto che a sera si registrano scossoni anche sul versante ‘commissario europeo’. Perché i posti sono legati l’uno all’altro come in puzzle ancora da comporre. Fino a stamane sembrava che il posto di Commissario europeo potesse andare al Pd, con Paolo Gentiloni. Ieri si parlava della tentazione di Conte di nominare una personalità neutra, una donna per andare incontro alle richieste di von der Leyen. Nel pomeriggio i pentastellati tornano a rivendicare per sé anche il commissario. “L’ho detto e lo ripeto. Dare il commissario europeo al Pd sarebbe un errore imperdonabile. Durerà 5 anni (a prescindere da quanto duri il governo) e sarà il massimo rappresentante del nostro Paese in Ue – dice Corrao - Impariamo dagli errori, non regaliamo vantaggi e dividendi a chi ha la metà dei nostri parlamentari come abbiamo già fatto con Salvini (che voleva il Viminale per fare il ministero della propaganda e tutto il resto che abbiamo visto. Gli hai dato la mano e ti ha tirato braccio e corpo intero)”.
Ma alla fine decide Conte, d’accordo col Quirinale. Per domenica il premier vorrebbe preparare un documento di sintesi delle consultazioni con i gruppi. Sintesi programmatica, che anche qui ci sono nodi. In materia di sicurezza, per dire, il premier va ripetendo ai gruppi che rivedrà solo le parti segnate in rosso dal Quirinale nelle leggi volute da Salvini. Non si sa verso l’abrogazione. Il che non è moloch nemmeno per il Pd (tranne che per Matteo Orfini). Ma l’irrigidimento sul programma è solo uno specchio delle tensioni vere: sulle caselle. Che ancora non tornano. A consultazioni finite a Montecitorio, iniziano forse quelle ‘vere’: a Palazzo Chigi da Conte ci vanno i Dem Orlando e Franceschini e i pentastellati D’Uva e Patuanelli.