Il racconta ad Huffpost di Luca, 31 anni, addetto vendite di un supermercato: "Per me andare a lavorare significa anche garantire un servizio alla comunità. Forniamo beni di prima necessità. Non me la sento di abbandonare". Luca al supermercato va tutti i giorni. Non per passare il tempo e staccare dalla clausura casalinga. Per lavoro raggiunge uno stabilimento laziale di una nota catena di supermercati dove è impiegato come addetto vendite. Lava le mani, indossa guanti e mascherina, e si comincia. Il suo contributo è diventato essenziale nell’emergenza generata dal coronavirus: esposto al rischio contagio per garantire a tutti la possibilità di fare la spesa. Nonostante le numerose allerte, la dimensione del problema non è evidentemente ancora chiara a tutti e lui ogni giorno è costretto a improbabili discussioni con clienti che rifiutano di mettere i guanti, di rispettare la distanza di un metro, di recarsi nel negozio senza accompagnamento.
“La loro superficialità mi lascia perplesso”, racconta ad Huffpost, “La distanza di un metro non viene mai rispettata. Non aspettano che tu finisca di sistemare la merce per prenderla, ti si avvicinano per chiedere informazioni, senza alcuna accortezza. Avevamo affisso un cartello fuori che invitava a mettere dei guanti prima di entrare. In tanti rifiutano, dicono di avere le mani pulite. Altri li gettano a terra una volta entrati. Quando lo fai notare loro, si mettono a ridere. Come fosse un gioco”.
A fare la spesa vanno anche famiglie intere, nonostante le direttive del governo: “Un giorno è entrata una coppia, non aveva i guanti. Lui tastava il pane per controllare quale fosse il più morbido. Io ho dovuto individuare i prodotti toccati per buttarli. Li ho invitati a mettere i guanti, non hanno voluto farlo. Ho chiesto loro di lasciare che rimanesse un solo membro per nucleo familiare, la donna ha risposto al marito: ‘Dai, prendo un altro carrello. Così lo prendiamo in giro, visto che vuole essere preso in giro’”.
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dall'articolo di S