Un nuovo studio dei ricercatori di Cagliari e delle Marche sulle microplastiche nei fondali sardi. La pervasività delle particelle di microplastiche non è solo un problema per noi esseri umani. Non si tratta solo della quantità di plastica che potremmo ingerire attraverso le bottiglie o gli imballaggi, come rivelerebbe uno studio commissionato mesi fa da Wwf International. Il problema riguarda anche i mari e gli oceani, e minaccia continuamente le creature marine, e di conseguenza la biodiversità. Un recente studio condotto all’università di Cagliari – in collaborazione con l’università delle Marche e i rispettivi consorzi interuniversitari per le scienze del mare – mostra la quantità di microplastiche trovata in due specie chiave di crostacei del Mediterraneo, nei fondali attorno alla Sardegna.
«Una parte importante di questo materiale – spiegano i ricercatori a La Stampa – si trasforma in minuscoli frammenti … che arrivano a tutte le profondità e che possono essere ingerite dagli organismi marini … Le microplastiche erano presenti nel 60-83% dei 152 crostacei analizzati».
Cosa è stato trovato in due specie di crostacei commerciali
I ricercatori dei dipartimenti di Scienze della vita e dell’ambiente di Cagliari e Ancona non partono dal nulla, precedenti studi si erano focalizzati per esempio sulle microplastiche trovate persino a 10.900 metri di profondità, nella Fossa delle Marianne.
«I detriti di plastica marini sono un problema globale», spiegano gli autori di un report del 2016 sulle microplastiche negli oceani.
Così oggi i due team italiani hanno potuto verificare quanto si sospettava già da tempo: microplastiche quali «poliestere, polipropilene, poliamide e polietilene» sono presenti anche nei nostri fondali. L’abstract dello studio è stato pubblicato online il 26 agosto per il numero di dicembre della rivista di settore Environmental Pollution.
Il fenomeno dell’ingestione di microplastiche è stato studiato nella «aragosta norvegese» e nel «gambero aristeus antennatus». Le specie sono state esaminate in 14 siti attorno alla Sardegna, in profondità che oscillavano tra i 270 e i 660 metri. Nei loro stomaci sono state così estratti i diversi tipi di microplastiche già citate.
Le specie di aragoste e gamberi presentavano microplastiche rispettivamente nell’83 e nel 67% degli esemplari studiati. Composizione e dimensione delle particelle suggeriscono ai ricercatori che queste specie comunemente reperibili nei mercati ittici, possono essere degli eccellenti “termometri biologici”, in grado di darci una cifra sulla contaminazione da plastiche nelle acque profonde nostrane.
Foto di copertina: Pixino/Immagine di repertorio/Crostacei commerciali.
Articolo di Juanne Pili per Open.online