Hanno una parziale utilità quando vengono usate nel modo giusto, ma l'inesperienza, le cattive abitudini e qualche falso mito possono rendere le mascherine più un problema che un aiuto. E ci sono precauzioni più importanti da tenere a mente. Quella sull’efficacia delle mascherine protettive è una domanda che molti, dalla Cina agli Stati Uniti e all’Europa, negli ultimi giorni si stanno ponendo. A livello di percezione pubblica – almeno a giudicare dalla folle caccia alla mascherina in corso anche in Italia e Oltreoceano – sembra in generale prevalere la linea del piuttosto di niente è meglio piuttosto, ossia del procurarsi i dispositivi di protezione facciale prima che vadano esauriti, a prescindere dalla loro utilità pratica. Crederle risolutive per il problema del contagio è sbagliato tanto quanto affermare che siano completamente inutili, perché in realtà la scienza e gli esperti ci dicono che molto dipende dal modello specifico, dalla situazione in cui vengono impiegate e soprattutto dal modo in cui le si usa. In alcuni casi, come vedremo, indossarle può addirittura essere controproducente.
Va detto, anzitutto, che al momento né nel nostro Paese né nel resto d’Europa ci sono raccomandazioni che ne suggeriscano l’adozione, anche perché il contagio è così basso da non richiedere particolari azioni di prevenzione. In Italia il Primo ministro Giuseppe Conte ha annunciato nella sera del 30 gennaio i primi due casi di coronavirus in Italia: due turisti cinesi in vacanza a Roma. Né l’Organizzazione mondiale della sanità né i singoli organi nazionali, inoltre, hanno mai consigliato l’impiego di mascherine, ma hanno indicato come prioritarie delle precauzioni di altro genere. In Cina, invece, milioni di mascherine sono state inviate dal governo a Wuhan, e la Commissione nazionale per la sicurezza sanitaria ne ha imposto l’uso a tutto il personale sanitario.
Ma cosa sappiamo, e cosa dice la scienza, sull’efficacia di questi dispositivi di protezione individuale?
Due tipi di mascherine contro la trasmissione aerea
Del coronavirus 2019-nCoV abbiamo imparato nei giorni scorsi che può essere trasportato e trasmesso per via aerea, e che il contagio può avvenire anche da persona a persona. Sappiamo pure che alcuni dei primi contagi potrebbero essere avvenuti, sempre per via aerea, al mercato del pesce di Wuhan. In questo senso, la protezione del naso e della bocca può sembrare – e in generale è – una possibile strategia per ridurre le probabilità di contagio, almeno in linea teorica.
In commercio si trovano principalmente due tipologie di mascherina. Il primo tipo, noto come mascherina chirurgica, è il più semplice e consiste in un insieme di strati di tessuto-non-tessuto che formano una barriera impenetrabile alle goccioline liquide ma permeabile all’aria, e tipicamente viene agganciata alle orecchie con una piccola banda elastica.
L’altro tipo, noto anche come respiratore di sicurezza o maschera anti-inquinamento N95, è un dispositivo di protezione individuale più sofisticato, certificato per riuscire a filtrare almeno il 95% delle particelle sospese nell’aria, inclusa l’eventuale presenza del coronavirus. Se almeno in apparenza questa seconda soluzione sembrerebbe potenzialmente più efficace della semplice mascherina chirurgica, in realtà entrambe le tipologie presentano una serie di criticità, tanto che secondo il New Scientist anche nella migliore delle ipotesi “indossare una mascherina può aiutare, ma non garantisce una protezione totale“.
Le maschere N95 sono note anche con la sigla Ffp3 (filtering face piece di terzo livello), ma in commercio si trovano anche le Ffp2 (che garantiscono protezione all’89%) e Ffp1 (al 75%), con prestazioni ovviamente inferiori.
I limiti delle mascherine chirurgiche
Il tipo di protezione garantito da una mascherina chirurgica è tutt’altro che completo. Anzitutto, difficilmente un oggetto di questo tipo aderisce perfettamente al volto di chi la indossa, e lascia dunque delle fessure attraverso cui il virus (e non solo) può comunque passare. Per di più, naso e bocca non sono le uniche vie d’accesso attraverso cui il coronavirus può entrare nel corpo umano, ma andrebbero inclusi anche gli occhi e in generale le mucose corporee.
Questo genere di mascherina è stata concepita soprattutto per proteggere non chi la sta indossando, ma le persone che stanno intorno. La funzione di schermatura dalle goccioline di saliva, infatti, è adeguata quando questi liquidi escono dalla bocca o dal naso di chi la porta, mentre funziona molto peggio come barriera d’ingresso, proprio per le aperture che inevitabilmente restano.
Anche la parte protettiva vera e propria della mascherina dà garanzie molto relative: capace di fermare le goccioline di liquido, è in realtà ben poco efficace con quelle sospensioni più fini in forma di aerosol tipo-nebbia, le quali possono trasportare in generale i virus e in particolare il coronavirus.
I problemi delle mascherine N95
Il livello di protezione del 95% garantito da questi strumenti è reale solo se vengono indossate correttamente, e ciò è impossibile per chiunque abbia la testa troppo piccola (per esempio un bambino, se viene protetto con una mascherina per adulti e non con una ad hoc) e per chiunque abbia la barba, che fa perdere la corretta aderenza al volto.
Il respiratore N95, inoltre, in generale rende più difficoltoso il passaggio dei flussi d’aria, quindi può essere fastidioso o problematico da indossare per chi abbia disfunzioni respiratorie o manifesti già sintomi alle vie aree, inclusi quelli provocati dal coronavirus. Tosse e affanno respiratorio possono infatti essere aggravati dall’uso di questo tipo di mascherina.
In modo controintuitivo, poi, una revisione sistematica condotta nel 2016 ha concluso che non è detto che le maschere N95 siano davvero più efficaci rispetto alle più modeste mascherine chirurgiche, almeno per quanto riguarda la protezione del personale sanitario da una malattia virale come l’influenza. Un altro studio del 2017, poi, ha confermato lo stesso risultato, mostrando una maggior efficacia delle maschere N95 solo nel caso delle patologie di origine batterica, mentre non ha riscontrato differenze di performance per le malattie virali. Ciò che invece è certo – e lo si sapeva già dal 2011 – è che le N95 non sono peggiori delle mascherine chirurgiche, e che mediamente hanno un costo molto più elevato.
Uso professionale vs uso amatoriale
Le ricerche che confermano scientificamente l’efficacia delle mascherine nel ridurre il contagio fino ai casi più virtuosi dell’85% (e che effettivamente esistono anche come studi randomizzati) hanno la caratteristica comune di essere stati condotti solo su personale sanitario. Dunque si tratta di lavoratori che hanno ricevuto una formazione specifica in merito, che combinano l’uso delle mascherine con altri dispositivi di protezione e che sono abituati a seguire una serie di rigorose norme igieniche. Le perplessità sull’efficacia delle mascherine per i non-professionisti, infatti, derivano soprattutto dai dubbi relativi al corretto utilizzo, dato che gli errori e le imprudenze sono molto comuni.
Il primo aspetto rilevante, in questo senso, è che le mascherine diventano assolutamente inutili se vengono rimosse, anche solo momentaneamente, in particolar modo se per toccarsi il volto con le mani, come le persone fanno in media una volta ogni tre minuti. Se poi immaginiamo di toglierci la mascherina per rispondere a una telefonata, o per grattarci il naso, o per riposizionarla quando ci dà fastidio, la protezione diventa ancor meno efficace. E anche in chi diligentemente evita di toccarsi il viso, non sempre la mascherina è correttamente indossata e ben aderente al volto, tanto che un potenziale agente patogeno potrebbe facilmente restare sulla pelle intorno alla mascherina e poi scivolare verso le mucose del naso o della bocca. Questo vale pure per i respiratori N95, che richiedono molta attenzione nella fase di posizionamento sul volto.
Va considerato, poi, che per il personale sanitario la mascherina è solo una delle protezioni indossate, tanto che gran parte del corpo (incluse mani e braccia) è coperta da altri dispositivi o da indumenti ad hoc, che spaziano dagli occhiali ai guanti e alla cuffietta. Per di più le mascherine sono sempre da considerarsi monouso, nel senso che nel momento in cui vengono rimosse vanno tolte come se fossero contaminate, perciò mai abbassate dalla bocca, riafferrate a partire dagli elastici laterali e mai re-indossate. L’utilizzo da manuale, inoltre, prevede di cambiarle di frequente (perché la loro impenetrabilità non è affatto assoluta), e naturalmente di svolgere l’operazione di sostituzione in un luogo opportuno e con elevati standard igienici. Va da sé che le condizioni di sterilità che possono essere garantite in una sala operatoria o in un reparto ospedaliero sono molto diverse da quelle che si possono avere per strada, in metropolitana o in un centro commerciale.
Le uniche persone, oltre alla Cina, per le quali ha senso fare uso di mascherine sono i medici e gli infermieri che intervengono sui casi sospetti o si occupano di chi ha contratto il virus.
Le altre accortezze da non dimenticare
In ordine di priorità, la mascherina non è certo ai primi posti tra le raccomandazioni per prevenire il contagio. Non avrebbe senso, dunque, affannarsi per procurarsi le mascherine e allo stesso tempo dimenticarsi di seguire le altre precauzioni suggerite dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Addirittura, i medici hanno sottolineato che a volte indossare una mascherina può essere controproducente, soprattutto perché genera un illusorio senso di sicurezza: dando una percezione (errata) di immunità quasi totale, fa abbassare la soglia di attenzione verso altre misure igieniche. Alcune persone arrivano al punto di avvicinarsi a chi manifesta sintomi senza timori, sentendosi invulnerabili solo perché indossano qualcosa davanti alla bocca. Per questo motivo, alcuni sostengono che acquistare una mascherina sia sconsigliabile, sottolineando come per la popolazione generale non esista alcuna prova scientifica dell’efficacia preventiva. Altri infettivologi, di contro, sono più ottimisti sull’attenzione all’igiene da parte delle persone e quindi ritengono che le mascherine possano essere dispositivi utili a contenere il contagio, almeno se si ragiona in termini di grandi numeri.
Quali sono, in ogni caso, le altre precauzioni da tenere a mente? Si tratta per la maggior parte di misure di buonsenso, da applicare a prescindere da 2019-nCoV, come per esempio evitare il contatto diretto con persone malate o con superfici e oggetti potenzialmente infetti. Naturalmente è fondamentale avere una buona igiene: lavarsi le mani di frequente, con acqua calda e sapone per almeno mezzo minuto oppure con un disinfettante a base alcolica, è il consiglio numero uno, insieme all’evitare di portare le mani al volto e al non toccare il cibo con le mani sporche. Il coronavirus sulla pelle infatti non può provocare l’infezione, ma quest’ultima avviene solo se si porta il virus in contatto con le mucose.
Se ci si trova in un’area ritenuta a rischio, è preferibile evitare anche il contatto con gli animali, scongiurare contaminazioni di cibi sospetti con alimenti da consumare crudi e cuocere sempre con cura carne e pesce. In generale, si consiglia di evitare di recarsi nelle zone dove l’epidemia è più diffusa. Nel caso si manifestino dei sintomi, è utile starnutire nel gomito oppure in un fazzoletto da gettare subito dopo, ridurre i contatti con altre persone e – se si sospetta di essere stati infettati dal coronavirus – rivolgersi al proprio medico (non al pronto soccorso) per far valutare il caso.
Infine, anche per evitare allarmismi al momento eccessivi, va detto che in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi non c’è ragione concreta di proteggersi con una mascherina, visto che i casi di contagio sono nulli o estremamente ridotti in numero. “Per ora è decisamente troppo presto per pensare di indossare mascherine”, hanno detto i medici statunitensi al New York Times: negli Stati Uniti la conta dei casi è arrivata a cinque, mentre per l’Italia solo due turisti cinesi in vacanza a Roma sono stati dichiarati positivi al coronavirus di Wuhan.
Articolo di Gianluca Dotti (Giornalista scientifico) per Wired.it