I più spaventati ieri mattina, dopo la caduta del governo Draghi, erano i renziani, nei corridoi del Parlamento. Da fuori esibiscono la loro solita sicumera, con gli account social del partito che menano sberle al Pd, a Forza Italia, alla Lega e al M5S, ma la loro situazione per andare al voto è nera. Matteo Renzi è riuscito a rendersi indesiderato perfino da Carlo Calenda (che pesca nella stessa area). Matteo Renzi in questa legislatura è riuscito nell’ordine: 1) ad abbandonare il Pd di cui era segretario dopo avere accusato gli altri di non dimettersi per farsi il proprio partitino facendosi il suo partitino; 2) è riuscito a urlare al “capolavoro politico” per avere fatto cadere Salvini per poi ripetersi con un altro “capolavoro politico” facendo rientrare nel governo successivo Salvini; 3) è riuscito a rendersi indesiderato da Carlo Calenda (che pesca nella stessa area) e infine a promettere che il Governo Draghi non sarebbe caduto e che gli altri avrebbero perso la faccia. Ma il problema più grave di Renzi e del suo partito personale Italia Viva è sempre quello di non avere voti, essere pieno di ceto politico ma magrissimo negli elettori, come confermano i sondaggi e i risultati delle ultime elezioni amministrative. Chissà che incubo dover uscire da Twitter, dal Parlamento, a scoprire con mano il mondo là fuori.
Ora Conte va all'attacco del Pd
"C’è bisogno di far sapere ora che il M5s durante tutto il periodo è stata la forza più leale all’interno del governo". Lo ha detto Giuseppe Conte in collegamento con l'assemblea M5S di Lamezia Terme ribadendo la teoria secondo cui i 5 Stelle sarebbero stati spinti fuori dalla maggioranza. "Tutti ora vorrebbero scaricare su noi le loro responsabilità e la crisi che si è generata" ha affermato il leader m5s. "Ci hanno voluto mettere in difficoltà scientemente, ci hanno voluto tenere fuori ma noi andiamo avanti. È una campagna elettorale molto impegnativa quella che ci attende, da affrontare con forza, passione e dignità. È importante l’impegno di ciascuno perché solo così riusciremo a realizzare quello che ci siamo prefissati. Parlare ai cittadini e spiegare loro qual è il nostro impegno per chiarire e portare avanti la nostra agenda politica deve essere il nostro obiettivo".
E ancora: "Il coraggio di esserci serve per affrontare un momento delicato per il Paese, noi, come avrete compreso, abbiamo solo mantenuto la linea di coerenza nella difesa degli ultimi" ha proseguito Conte. "Stiamo lavorando, magari commettendo anche degli errori, per mantenere fede agli impegni che abbiamo assunto. La transizione ecologica era il nostro obiettivo da sempre e lo abbiamo difeso, così come abbiamo fatto con le riforme come il reddito di cittadinanza e il Superbonus. Abbiamo realizzato con grande impegno queste nostre misure, grazie all’impegno di tutti i nostri parlamentari che hanno lavorato con impegno nelle diverse commissioni". "Il documento presentato a Mario Draghi ha in sé tutto il cuore, la sensibilità e gli ideali del Movimento" ha detto ancora. "Contiene la diagnosi sulla grave emergenza ecologica e sociale del Paese, è un’agenda che ha da sempre rappresentato il nostro faro".
Marta Fascina, sentenza glaciale su Maria Stella Gelmini. Cosa le scappa davanti ai giornalisti
Marta Fascina in questi giorni di crisi di governo è stata sempre al fianco di Silvio Berlusconi, come visto nel vertice del centrodestra di Villa Grande. Ma la parlamentare azzurra e compagna del premier non aveva parlato pubblicamente. Fino a ieri, giovedì 21 luglio, quando - tailleur giacca e pantalone azzurri e capelli raccolti - è stata intercettata dai cronisti e ha spiegato che Berlusconi "sta bene. Assolutamente, è in forma". Poi le viene chiesto se Berlusconi è dispiaciuto per Mariastella Gelmini? "No, assolutamente", ha ribattuto con un filo di voce che dà la dimensione del clima gelido tra il Cavaliere e la ministra che ha deciso di lasciare il partito (seguita da Renato Brunetta e probabilmente da Mara Carfagna). Berlusconi negli ultimi interventi pubblici non ha nascosto la sua irritazione per la fuga di esponenti storici del suo partito. "Riposino in pace" la battuta tranchant affidata alle interviste.
Meloni: “È ripartita la macchina del fango contro di me e FdI, sono consapevoli della sconfitta”
“Con la campagna elettorale è ripartita, puntuale come sempre, la macchina del fango contro me e Fratelli d’Italia. Aspettatevi di tutto in queste settimane, perché sono consapevoli dell’imminente sconfitta e useranno ogni mezzo per tentare di fermarci. Se ci riusciranno o no, quello dipenderà da voi”. Lo scrive su Facebook la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Sondaggio post crisi di governo: il 70% degli italiani non voterebbe una lista Draghi. La mobilitazione in suo favore? “Una mistificazione mediatica” per il 43%
Un sondaggio realizzato da Termometro Politico tra il 19 e il 21 luglio, presenta un quadro molto distante da quello esposto dal presidente del Consiglio in Senato, e dalla quasi totalità della stampa italiana. Per quanto riguarda le intenzioni di voto, aumentano i consensi FdI e Pd. “Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto“. Mario Draghi, nel suo discorso mercoledì 20 luglio in Senato, lo ha ribadito con forza. Proseguire e ridare fiducia all’esecutivo era una richiesta esplicita della maggioranza dei cittadini. Appello che non poteva e non doveva essere ignorato, ribadiva la quasi totalità di giornali e tv puntando l’attenzione su manifestazioni pro- premier (non proprio partecipatissime e piene di bandiere di partito), lettere di sindaci e appelli da parte di alcune categorie come quella degli autotrasportatori, con tanto di pagina a pagamento sui giornali. Ma era realmente così? Secondo Termometro Politico, in realtà, il quadro è molto diverso.
Psicodramma al Centro. Da Renzi a Calenda tante sigle e pochi voti. Nella mischia moderata pure Di Maio. Caduto il Governo rischiano l’estinzione
Salvini ha promesso a Berlusconi la presidenza del Senato: ecco la moneta di scambio usata per mollare Draghi
Silvio "isolato" durante il blitz, lo cercano Chigi e Colle ma il cellulare forse era in mano a Fascina. Glielo hanno promesso, forse anche per giustificare il fatto di averlo lasciato ai margini durante le ore cruciali che hanno portato alla cacciata di Draghi. Ma adesso Silvio Berlusconi ci crede. "A ottobre sarai Presidente del Senato", gli ha assicurato Matteo Salvini subito dopo il blitz. È la moneta di scambio per l'estromissione dell'ex banchiere.
Enrico Letta a Repubblica: "L'Italia scelga noi o Meloni". Le alleanze: lista Pd aperta ai progressisti, ambiente e giovani
La strategia di Letta per il voto: lista del Pd aperta ai progressisti, a cominciare da Speranza, e mano tesa a Calenda e ai transfughi di FI. Il segretario del Pd: "In campo 100mila volontari, anche in agosto. Le priorità del programma: contratto di formazione per i giovani e salvaguardia dell'ambiente". Enrico Letta a Repubblica: Le elezioni un bivio, l'Italia scelga noi o Meloni. Si vince con le idee.
Letta: «La caduta di Draghi? Un suicidio collettivo. La nostra lista aperta si chiamerà `Democratici e progressisti’»
L’intervento del segretario del Pd ospite di Lucia Annunziata: «Siamo molto più progressisti noi del M5S. C’è spazio per un campo aperto. Chiameremo la lista Democratici e Progressisti. Ne ho parlato con Roberto Speranza, Demos, Psi. Vorrei 100mila volontari, li guiderà Silvia Roggiani».
Letta chiude ai 5 Stelle per Di Maio e Calenda ma perde Bersani. Se torna Di Battista e arriva De Magistris, Conte può essere il nuovo Mélenchon
Le manovre vere iniziano domani, dopo avere assorbito la botta per la caduta del governo che nessuno immaginava. A rendere ancora più difficile la costruzione di quello che Enrico Letta fino pochi giorni fa chiamava “campo largo” e che ora sembra un sentiero stretto e impervio, c’è l’estate di mezzo, le liste da fare in agosto e una campagna elettorale che, con tempi così compressi, richiede messaggi comprensibili e veloci. L’intervista con cui Dario Franceschini ha dichiarato finita qualsiasi alleanza con il Movimento 5 Stelle non è stata presa bene al Nazareno. Letta, fino a ieri sera, continuava a ripetere che la decisione spetta agli organi di partito dopo una discussione franca tra iscritti, amministratori locali e parlamentari. La sensazione di tutti comunque è che non ci siano le basi per poter ricomporre con Giuseppe Conte, soprattutto in tempi così brevi: “Loro faranno il gioco degli abbandonati, come fanno da un po’ tempo”, dice un deputato democratico.
"Nell'Agenda Draghi manca il sociale. E abbiamo già dato con quella di Monti". Parla il fondatore di Possibile, Pippo Civati: "Il Pd deve dire se c’è spazio per idee più radicali delle loro"
Giuseppe Civati (per tutti Pippo) ora la politica la fa anche attraverso i libri. Dopo essere uscito dal Pd ha fondato Possibile (di cui è oggi segretaria Beatrice Brignone) e la sua casa editrice, People, oltre ai romanzi pubblica saggi politici e una rivista (Ossigeno).
Civati, quindi tutti in sella sull’agenda Draghi?
“Io ho ancora l’agenda Monti, sono un ripetente. E quello era esattamente lo stesso schema: si fa un governo di emergenza e poi lo si trasforma in un’opzione politica di lungo periodo. Almeno in quel caso c’era Monti in campo, qui non c’è nemmeno Draghi. Mi pare un’operazione difficile e che prescinde dal fatto che la politica si basa sul consenso. Le cose di cui parlare vanno molto più in là di un mandato di governo. Tra l’altro non dobbiamo nemmeno costringerci ad avere un giudizio così immediato su quello che è successo. È stato tutto così emotivo, non si può giudicare una coperta dall’ultimo lembo”.
Ma poi se Draghi era un “governo tecnico”, come può essere riusato per un’agenda politica?
“I governi tecnici non esistono. E infatti il problema del governo Draghi è stato il confronto con la sua maggioranza. È questa abitudine curiosa della politica italiana di voler sospendere la politica, che poi torna sotto vesti peggiori. Dopodiché va fatta salva un’idea che sicuramente aleggiava nella premiership di Draghi che è quella di un riferimento europeo senza distinguo (sappiamo che alcuni negano la Ue come Salvini e Meloni) di un riferimento a un’autorevolezza di cui la politica ha bisogno e anche a un certo rigore dal punto di vista dei conti poiché siamo messi malissimo. Se le prime pagine di un progetto sono quelle allora vanno bene a tutti i democratici ma il resto ce lo deve mettere la politica. È un momento di ritorno a un’elaborazione, a scelte di fondo. Ricordo che prima dell’agenda Draghi andava di moda l’agenda sociale, che è durata molto meno e forse sarebbe da aggiungere, no? Mi pare un tema su cui la sinistra si potrebbe esercitare in questa fase convulsa, ben oltre quello che diceva Draghi”.
Tra la destra della Meloni e quella di Letta c’è vita a sinistra: la terza via sono i 13 milioni di italiani dimenticati dall’Agenda Draghi
Tra la destra di Giorgia Meloni e quella mascherata, finto progressista, di Enrico Letta c’è vita a sinistra? Partiamo dall’inizio. «È precisamente questo che intendiamo, quando diciamo che il Partito democratico è un partito “a vocazione maggioritaria”: un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l’obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore».
Il Pd e l’Agenda Draghi. Era l’agosto 2007 quando Walter Veltroni, lanciava la rivoluzionaria idea del Partito democratico. Quel partito a vocazione maggioritaria che maggioritario nel Paese non è mai stato, sebbene abbia governato per una decina d’anni degli ultimi 15 alleandosi praticamente con tutti (tranne l’estrema destra). Ciononostante, oggi i dirigenti del Partito democratico continuano a perseverare nella formula della vocazione maggioritaria per sposare l’Agenda (del banchiere) Draghi, completando così l’opera di distruzione della sinistra italiana avviata a suo tempo da Veltroni e che, dopo la parentesi di Zingaretti, ora Letta ha scelto di portare avanti.
Elezioni anticipate e sondaggi trappola, Bruno Vespa mette in guardia il centrodestra
Le elezioni anticipate sembrano parlare la lingua del centrodestra. La coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi si prepara all'appuntamento del 25 settembre col vento in poppa. I sondaggi sono tutti dalla loro parte ma c'è chi li mette sull'attenti. Non è sempre tutto come sembra. Secondo il conduttore di Porta a Porta le rilevazioni "vanno prese con cautela sia perché non sono sempre giusti, sia perché il 25 settembre è ancora estate e tradizionalmente l'elettore di centrodestra - se non motivato in modo formidabile - si rifiugia in una pigrizia marina". Come che sia, la coalizione di centrodestra è agguerritissima e la candidatura di Berlusconi lo dimostra: "Quattro giorni prima di compiere gli 86 anni, il leader azzurro prevedibilmente tornerà a occupare in Senato il seggio che gli fu tolto in modo traumatico il 27 novembre 2013. La sua candidatura la dice lunga sullo spirito con cui il centrodestra si prepara alle elezioni anticipate del 25 settembre".
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Giorgia Meloni avverte Forza Italia: «La regola non si cambia: il partito che arriva primo esprime il premier»
Non si vedevano da prima delle Amministrative, in quel vertice di Arcore finito quasi a male parole. Ieri hanno provato, pare riuscendoci, a rompere il ghiaccio, con un incontro a pranzo a Villa Grande. Non è ovviamente bastato a sciogliere i nodi che restano nella coalizione — il maggiore, quello sulla regola per la premiership, l’altro la divisione delle quote di candidature nei collegi uninominali — ma è servito a riprendere un rapporto senza il quale un centrodestra che si sente sulla cresta dell’onda rischia di finire nella risacca. Il tutto in attesa che i temi più spinosi vengano affrontati quando i leader del centrodestra si vedranno anche con Salvini, in una sede istituzionale come pretendeva Meloni e con un «ordine del giorno chiaro, che permetta di uscire dal vertice con decisioni e non parole». Il summit dovrebbe tenersi alla camera mercoledì.
Grillo conferma i due mandati: “Politica come servizio civile, ecco perché sono tutti contro di noi. Questo Parlamento non lo merita nessuno”. E attacca Di Maio
Beppe Grillo rompe il silenzio e lancia ufficialmente la campagna elettorale pentastellata in vista delle prossime elezioni. Con un video pubblicato sul suo blog archivia una crisi che è stata dolorosa anche e soprattutto per il Movimento 5 Stelle, ‘scagionando’ in parte Mario Draghi. E traccia una linea dalla quale ripartire. Con dei punti fissi che negli ultimi anni sono stati messi in discussione da un’ala pentastellata, quella che faceva capo a “Giggino a’ cartelletta Di Maio”: il vincolo dei due mandati “che deve diventare legge dello Stato”. Un meccanismo, quello dei due mandati, definito una “luce nelle tenebre” e simbolo dell’unicità del Movimento nel “vecchio” panorama politico italiano: “Ecco perché abbiamo tutti contro”. Non un semplice attacco a un Parlamento “che nessun italiano si merita, tantomeno Draghi”, ma anche un modo per risolvere quello che è il primo grande spartiacque in vista del voto: rinnovare o meno l’alleanza con il Pd. Questa ‘unicità’ richiesta dal fondatore non sembra lasciare spazio all’idea di una nuova partnership. “L’Italia si merita tante cose e noi non siamo riusciti a farle: mi sento colpevole anche io – dice il fondatore pentastellato facendo quindi mea culpa – Ma abbiamo fatto qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi“. Poi parte con la controffensiva nei confronti delle altre forze politiche e la stampa che ha accusato Conte e il M5s di essere la causa della fine dell’esecutivo Draghi: “Siamo degli appestati. E quando tutti, compresi i bulli della stampa, sono contro di noi significa una sola cosa: vuol dire che abbiamo ragione“.
Luigi Di Maio si è suicidato: quello che non aveva calcolato. Addio...
In un'aula sostanzialmente fredda, l'applauso più intenso e lungo al discorso di Mario Draghi è stato ieri mattina quello del ministro degli Esteri, che gli stava seduto proprio affianco. Il quale, mutuando un'espressione dal dialetto napoletano, si pone, rispetto al capo dell'esecutivo, come una sorta di "vaccariello", cioè come il giovane vitello che sta attaccato ben stretto alla vacca madre che gli dà linfa vitale e forza per entrare nel mondo degli adulti. Nel caso di Di Maio, detto ancora Giggino quasi ad attestarne la non avvenuta maturità, la nuova madre adottiva ha sostituito da un po' di tempo Beppe Grillo, che in qualche gli ha preferito un oscuro avvocato di provincia graziato dalla fortuna.
Draghi ha ridato un senso alla vita di questo giovanotto che solo tre anni fa, già al governo, rincorreva sogni adolescenziali in Francia viaggiando in macchina con Alessandro Di Battista alla ricerca di gilet gialli e rivoluzionari vari. Vuoi mettere tu le feluche e gli esperti della Farnesina, con tutte le porte che, al seguito di Draghi, gli si aprono anche all'estero? Uomo di fede prima, ancor più uomo di fede ora, Giggino ha però voluto strafare.
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È scattato in politica il “si salvi chi può”
La partenza è stata immediata. È stata sufficiente la debole fiducia concessa dal Senato all'esecutivo per aprire le fughe, le cacce al posto, le dimissioni, insomma quelli che, con espressione per nulla piacevole però comprensibile nell'agitato sommovimento della politica, sono chiamati riposizionamenti. Ci si colloca dove si ritiene più opportuno, più gradevole, per qualcuno (pochi, in verità) più idealmente vicino. Succede perfino un unicum: per la prima volta dal 2013 il M5s segna un arrivo, dopo perdite di eletti a decine. Servirà poco, anche per la conclamata incapacità di Giuseppe Conte di reggere il movimento. Ha già destato attenzione l'abbandono di Fi da parte di due ministri: Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Non bisogna stupirsi. Gli addetti ai lavori attribuivano a Mara Carfagna il passaggio al centro, se così vogliamo esprimerci, già due anni addietro, quando ad attenderla era Carlo Calenda, agli esordi con Azione. Non sarebbe una novità: si rammenti Beatrice Lorenzin, azzurra doc, passata con gli scissionisti di Angelino Alfano e progressivamente aperta a sinistra, fino all'elezione nel centro-sinistra (2018) e alla trasmigrazione nel Pd. Anche Andrea Cangini, sostenitore della fiducia a Draghi, lascia i berlusconiani.
Diretta governo, Di Maio: «Area di unità nazionale contro Conte e Salvini». Gelmini: «Mai avrei immaginato Lega e Fi come M5s»
...... «Al di là dei nomi quello che si sta delineando è un'area di unità nazionale che si contrappone sicuramente a Conte e a Salvini, ma anche a una destra che ha scommesso per far cadere questo Governo». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parlando, con i giornalisti a margine di un incontro all'Interporto di Nola.
«La crisi di governo è stata innescata da Conte e dal M5S ma mai avrei potuto immaginare che Forza Italia e Lega si mettessero sullo stesso livello del M5S nel determinare in una stagione così difficile per il Paese la caduta del governo Draghi. È stato un gesto di assoluta irresponsabilità da cui non ho potuto fare altro che prendere le distanze. Proprio per questa ragione dopo tanti anni di militanza ho deciso di lasciare Forza Italia». Lo ha detto la ministra per gli affari regionali Mariastella Gelmini a Rtl 102,5.
Elezioni, Nicola Zingaretti verso la candidatura. Anche la Regione Lazio andrà al voto anticipato
Le dimissioni del premier Mario Draghi e le possibili elezioni politiche anticipate in autunno potrebbero avere delle ricadute anche sul futuro della consiliatura regionale del Lazio. Le indiscrezioni circolate in questi mesi che vedono Nicola Zingaretti interessato ad una candidatura in Parlamento, con la crisi di governo, sono diventate ancora più insistenti. A placare il clima di incertezza sono fonti interne alla Regione Lazio che escludono un possibile election day con le Politiche. Nel Lazio, dunque, l'esperienza del campo largo targato Pd e che tiene dentro M5s e Azione sembra destinato a resistere e ad andare avanti, con una forbice di possibile voto ricadente tra ottobre e gennaio. In ogni caso «in Regione Lazio- assicurano le fonti - la maggioranza c'è e andrà avanti, non c'è una crisi politica». Inoltre viene escluso un possibile election day con le politiche perchè «una eventuale e possibile candidatura di Nicola Zingaretti in Parlamento non è incompatibile con la sua permanenza. Quindi, la legge gli consente comunque di ricoprire la carica di governatore».
Il primo sondaggio dopo la crisi. Corsa del centrodestra, sorpasso clamoroso
La data delle elezioni politiche è stata decisa: si voterà il 25 settembre e i partiti hanno a disposizione due mesi per presentarsi agli italiani. Sul consenso alle forze politiche è probabile che peserà il giudizio degli elettori sulla crisi di governo. L'ultimo sondaggio, quello che tiene conto di quanto successo nelle ultime ore, è stato presentato nella puntata di giovedì 21 di Zona Bianca, il talk show di Rete 4, La rilevazione dell'istituto di sondaggi Tecné riporta al vertice un testa a testa tra Fratelli d'Italia e Pd, con il partito di Giorgia Meloni che primeggia nelle intenzioni di voto: 23,5 per cento contro il 23,1 del partito di Enrico Letta. Segue la Lega con il 14,6 per cento, poi il sorpasso clamoroso di Forza Italia (10,6 per cento) sul Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che scende sotto la sdoppia cifra: 9,4. Il ticket Verdi con Sinistra italiana vale il 4,1 per cento, poi troviamo le forze che gravitano intorno al 2% come Italia viva di Matteo Renzi (2,8) e Italexit di Gianluigi Paragone (2,5).
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"La fine del Governo Draghi farà bene al M5S. Ma stia a sinistra del Pd". Parla il sociologo del Lavoro, De Masi: "Il ruolo di Conte marginale nella crisi"
Il Governo Draghi è giunto al capolinea. Secondo lei professor Domenico De Masi, sociologo del Lavoro tra i più accreditati in Italia, a chi si devono attribuire le maggiori responsabilità di questa crisi?
“Avendo Mario Draghi la maggioranza assoluta in Parlamento, se non si fosse dimesso, la settimana scorsa, avrebbe potuto tranquillamente proseguire. Dunque è lui la causa della crisi. Nulla gli impediva di continuare”.
Si è trattato di un atto di irresponsabilità lasciare?
“Si vede che per i suoi calcoli e per le sue esigenze personali era la soluzione migliore. Il pallino era tutto nelle sue mani e ha fatto una scelta precisa. Non è più presidente del Consiglio né presidente della Repubblica, quindi le due massime cariche dello Stato gli sono state precluse. In entrambi i casi dal Parlamento. Ma nel caso del Quirinale sarebbe stato felice di esser eletto. Nel secondo caso ha mosso le pedine in modo che questo fosse l’esito. Non solo nel primo discorso ma anche nella replica non ha mostrato alcun cedimento. Ha detto queste sono le mie condizioni se vi piacciono bene sennò arrivederci”.
Lega e FI volevano una rinnovata squadra di Governo senza M5S. Una proposta irricevibile per il premier. A che gioco stanno giocando Salvini e Berlusconi?
“Sul comportamento di Lega e FI fa riflettere il ruolo dei media. Per 5 giorni si è parlato solo dei 5Stelle quando il vero problema erano Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. I media se ne sono accorti mercoledì che il problema non erano i 5Stelle. Un’autentica vergogna. I veri protagonisti della fuga di Draghi sono stati Salvini e Berlusconi, il M5S è stato marginale”.
La strategia di Conte paga. Attivisti e territori sono con lui. In troppi davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso.
A leggere gli articoli e le dichiarazioni dei giorni passati, in tanti, troppi, davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso. Si sarebbe spaccato a metà, vittima di nuovi fuoriusciti (governisti) che avrebbero sconfessato la linea di Giuseppe Conte, condannandolo così all’estinzione politica. In troppi davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso. Ebbene, il giorno della fine del governo è arrivato. Il presidente della Repubblica ha sciolto le Camere e deciso la data delle prossime votazioni (25 settembre). Ma la profezia dei tanti soloni che popolano salotti televisivi e colonne dei quotidiani hanno preso un palo enorme: al di là di Soave Alemanno (Carneade della politica, di fatto ininfluente per i destini pentastellati), nessuno ha abbandonato Conte.
Non l’ha fatto Davide Crippa, non l’ha fatto Federico D’Incà, non l’ha fatto Fabiana Dadone. Piena convergenza con la linea del presidente M5S. Che, c’è da dirlo, è stato aiutato in questo dall’arroganza e dalla saccenza del presidente dimissionario Draghi che, pur potendolo fare, ha preferito non riservare alcuna apertura ai pentastellati. Ed è da questa ritrovata coesione che ora il Movimento vuole e deve ripartire. “Ciò che più fa piacere – spiega una fonte molto vicina a Conte – è che Giuseppe ha ricevuto plausi da tanti attivisti e territori”.
GIORGIA MELONI GIÀ SI VEDE PREMIER. MA SILVIO E MATTEO LE PREPARANO LA FESTA. FATTO FUORI DRAGHI ORA L’OBIETTIVO DI LEGA E FI È LA LEADER DI FDI
Giorgia Meloni già stappa spumante, prepara ipotetiche liste dei ministri, facendole circolare sui giornali, dimostrando così di sentire la vittoria elettorale in tasca. Dalle parti di Fratelli d’Italia, insomma, il voto sembra considerato un passaggio superfluo. La leader già si vede a Palazzo Chigi, ignorando le ambizioni dei suoi alleati-avversari. Certo, a oggi nessuno scommette su una divisione alle Politiche tra i principali tre partiti: saranno tutti insieme, soprattutto per conquistare il maggior numero possibile di collegi uninominali. Ma la competizione interna si annuncia alquanto serrata: Lega e Forza Italia non sono intenzionati a srotolare il tappeto rosso alla Meloni per portarla alla presidenza del Consiglio.
Del resto il regolamento interno, seppure non scritto, prevede da sempre che chi prende più voti, viene sostenuto come possibile premier. Per questo nelle ultime ore sta prendendo sempre più forma l’opzione della “lista unica” forzaleghista per sopravanzare Fdi anche solo di uno zero virgola.
Stipendi d'oro ai consiglieri. Con Gualtieri a Roma riparte la pacchia. Dal Pd alla Lega via libera agli aumenti. Ira M5S: "Altro schiaffo ai cittadini"
I consiglieri capitolini hanno messo le mani nelle tasche del Comune di Roma e si sono riempiti il portafoglio. In Campidoglio infatti è stata appena approvata una delibera che riconosce l’indennità agli eletti in aula Giulio Cesare che vedranno così i loro stipendi aumentare di almeno mille euro netti al mese, passando dai 2mila attuali a oltre 3mila. Si tratta di 2300 euro lordi in più rispetto alla cifra massima raggiungibile con il sistema dei gettoni che invece decade. Dopo il passaggio avvenuto pochi giorni fa in commissione bilancio, la novità aveva provocato non poche polemiche, ma alla fine la delibera è stata approvata senza alcun intoppo. Dei 35 votanti, infatti, gli unici a esprimersi contro il provvedimento sono stati i consiglieri del Movimento 5 Stelle, Linda Meleo, Daniele Diaco e Paolo Ferrara. Tutti gli altri, da destra a sinistra – Partito Democratico, Sinistra civica ecologista, Roma futura, Europa verde, Demos, Fratelli d’Italia, Udc-Forza Italia – hanno votato a favore.
Draghi si è dimesso, Mattarella verso scioglimento delle Camere. Il premier commosso in Aula. Altro strappo in FI, lascia Brunetta. Conte: «Puntavamo su un appoggio esterno, poi è saltato tutto»
Le notizie sulla crisi di governo in diretta. Il Capo dello Stato riceverà Elisabetta Casellati alle 16:30, Roberto Fico alle 17. Il presidente del Consiglio tornerà a Montecitorio alle 12.
• Ieri il governo ha ottenuto la fiducia al Senato e quindi è in carica. Draghi è però salito al Quirinale per dare le dimissioni.
• Mattarella pronto ad accettarle e sciogliere le Camere. In tal caso Draghi resta in carica per il disbrigo degli affari correnti.
•Il premier ha salutato emozionato i deputati: «Anche i banchieri centrali usano il cuore».
• Draghi sulla stampa estera: la preoccupazione dei media stranieri per la caduta del governo.
• Le elezioni anticipate potrebbero tenersi il 2 ottobre o il 9 ottobre.
«Forza Italia si è consegnata a Salvini, consegnando di fatto la competenza rappresentata da un premier come Mario Draghi nelle mani del populismo incoraggiato dal duo Conte-Salvini» . Lo ha detto il leader di Italia Viva Matteo Renzi nel corso di un'intervista radiofonica. «A me questo dispiace e amareggia perché ieri eravamo riusciti in un mezzo miracolo: attraverso le petizioni avevamo raccolto, attraverso le piazze, più di centomila firme (OVVERO LO 0,16% DEGLI ITALIANI). Avevamo convinto il presidente del Consiglio a ritornare sui suoi passi. Invece il personale narcisismo è stato anteposto agli interessi del Paese», ha aggiunto il leader di Iv.
Mattarella “prende atto” delle dimissioni di Draghi: ora il governo rimane in carica per gli affari correnti. Ieri la rinuncia a mediare e la rottura con Lega e M5s
VERSO IL VOTO ANTICIPATO – Resa dei conti finale al Senato (la giornata di ieri). L’intervento del premier doveva essere risolutivo (leggi), invece precipita tutto (leggi). L’ultima replica è la premessa per l’addio (video). Conte: “Sprezzante, volevano cacciarci” (leggi). Commozione nel passaggio a Montecitorio (video).
Draghi sale al Quirinale. Sospesi i lavori della Camera
Draghi alla Camera annuncia le dimissioni: "Mi sto recando dal presidente della Repubblica, per comunicare le mie determinazioni". “Alla luce del voto espresso ieri sera dal Senato della Repubblica, chiedo di sospendere la seduta perché mi sto recando dal presidente della Repubblica, per comunicare le mie determinazioni”. È quanto ha detto, questa mattina (qui il video), il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso delle comunicazioni alla Camera sulla crisi di Governo. I lavori di Montecitorio sono sospesi fino alle 12.
Giorgia Meloni ha un problema. Una classe dirigente travolta dal malaffare. Una scia di guai da Milano a Palermo. E se sceglie così i futuri ministri...
Chi le sta vicino racconta che Giorgia Meloni stia già giocando alle figurine per il prossimo giro, ipotizzando un fantagoverno con ministri, sottosegretari e occupandosi con largo anticipo anche delle aziende di Stato dove poter far sedere i suoi fedelissimi. Dalle parti di Fratelli d’Italia, forti dei sondaggi sul centrodestra e della debilitazione del concorrente interno Matteo Salvini, quasi tutti sono convinti che la prossima classe dirigente del Paese sia una cucciolata meloniana e Giorgia Meloni, che non disdegna il potere come tutti i leader, è pronta a distribuire le prebende. L’abilità di scelta della classe dirigente però per FdI continua a essere un problema non da poco se è vero che solo ieri nel Comune di Terracina hanno arrestata la sindaca Roberta Tintari (leggi l’articolo) insieme a due suoi assessori e al presidente del Consiglio comunale. Ma gli arresti che pesano sul partito della Meloni sono sopratutto quelli in odore di mafia.
In Calabria, ad esempio, terra di conquista per FdI, il neo consigliere regionale di FdI Domenico Creazzo è stato arrestato nell’ambito di un’operazione antindrangheta della Dda di Reggio Calabria. Era febbraio. A luglio dell’anno scorso, dopo un altro filotto di arresti, il capogruppo di FdI alla Camera Francesco Lollobrigida aveva dichiarato che “gli anticorpi ci sono e funzionano”. Un mese dopo Giorgia Meloni in Calabria aveva fatto una sorta di “campagna acquisti” e il gruppo di Fratelli d’Italia alla regione era diventato in poche settimane il secondo nel Consiglio regionale, subito dopo quello del Partito democratico. Tra questi spiccava, Alessandro Nicolò, ex berlusconiano, e detentore di un bel gruzzolo di voti nella provincia di Reggio Calabria. Meloni lo aveva sponsorizzato come capogruppo in regione ed era una sorta di fiore all’occhiello della campagna calabra di Fratelli d’Italia. Ma ad agosto la polizia, su mandato della Dda di Reggio lo ha prelevato dalla sua abitazione e tradotto in carcere. Le accusa contestate a lui ed altri indagati sono a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno e tentata corruzione.
Uno Stato fondato sulla poltrona
Non c’è niente da fare: siamo una Repubblica fondata sulle poltrone. Solo per queste, infatti, salta il governo Draghi e con tutta probabilità anche la legislatura. Di fronte all’uscita dei 5 Stelle dalla maggioranza, maltrattati fino alla fine dal premier, l’Esecutivo aveva ancora i numeri e la disponibilità del Presidente del Consiglio per proseguire, facilmente convinto da una presunta richiesta di folle oceaniche di italiani.
A sorpresa, però, Berlusconi e Salvini hanno posto una nuova condizione: far diventare politico un Esecutivo nato per essere di unità nazionale. Una pretesa assurda, perché dai banchi del Movimento si era capito già dal mattino che Draghi con i suoi impegni fumosi sull’agenda sociale avanzata da Conte non aveva convinto nessuno, e di conseguenza avrebbero tolto il disturbo.
Cosa volevano allora Lega e Forza Italia? Semplicemente spartirsi le seggiole, sostituendo i loro stessi ministri scelti da Mattarella e non dai leader dei due partiti, e aumentarle con quelle liberate dal Movimento.
Una prova che tutto era orchestrato sono gli investimenti sui Social tornati a salire negli ultimi 3 mesi
Con due possibili sbocchi: un rimpasto per strappare qualche poltrona in più nel governo, come emerso dalla risoluzione poi ritirata, o tornare alle elezioni. Per carità, tutto legittimo. Ma di sicuro la trama è stata realizzata sotto traccia, visto che nel frattempo Salvini professava lealtà al numero uno di Palazzo Chigi, da porre in essere al momento opportuno con tanto di maldestro tentativo di addossare le responsabilità agli altri. La traccia da seguire è quella degli investimenti, sempre molto massicci, fatti su Facebook e Instagram: in tre mesi la Lega ha speso la bellezza di 44.080 euro, di cui 10.193 soltanto nell’ultimo mese. La pagina persona del segretario, Matteo Salvini, ha messo a disposizione dei post sponsorizzati 18.746 euro nell’ultimo trimestre e più di 4 mila solo nell’ultimo mese. Una macchina di propaganda a pieni giri che ha il sapore della campagna elettorale. E che si è fermata solo nell’ultima settimana, quando è stata aperta la crisi di governo con le dimissioni del premier.
Ma cosa sostenevano i leghisti? Il bersaglio preferito è stata la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, responsabile, secondo i messaggi diffusi a pagamenti sui social, di non gestire gli sbarchi. La titolare del Viminale era accusata, testualmente, di “non fare nulla” sulla gestione dell’immigrazione. Il testo, messo a corredo, non lascia grosso spazio a interpretazioni: “Immigrazione incontrollata oppure regole chiare? E tu, da che parte stai? Assistere allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini senza far nulla oppure far rispettare le leggi? Tu da che parte stai?”.
IL DRAGHICIDIO DI SALVINI E BERLUSCONI. UNA MOSSA PIANIFICATA DA TEMPO. LA LEGA HA APPROFITTATO DELLE DIMISSIONI DEL PREMIER. E HA FATTO SALTARE IL BANCO
Una pugnalata che non è arrivata a sorpresa. Ma che è stata frutto di un’operazione ben pianificata. A cominciare dai social. Mentre il Movimento 5 Stelle affrontava la sua battaglia politica, a viso aperto, mettendo sul tavolo delle proposte da avanzare al governo, il centrodestra, con la Lega capofila ha attuato il piano lontano dai riflettori.
Gualtieri non perde il vizio. Copia dalla Raggi pure il Piano Rom. Il sindaco di Roma conferma lo sgombero del campo di Castel Romano
Stai a vedere che sui campi rom aveva ragione Virginia Raggi. Già perché il piano per il superamento di questi insediamenti, lanciato quasi due anni fa dall’ex sindaca tra mille proteste e critiche, è ancora l’unica risposta che ha a disposizione il Campidoglio. Insomma anche con l’avvento di Roberto Gualtieri, il quale non ha fatto menzione di come vuole affrontare il problema neanche nei suoi punti programmatici per i prossimi 180 giorni, la ricetta per chiudere i campi rom resta quella dell’ex prima cittadina. Proprio per questo non cambia neanche la road map degli interventi perché perfino lo sgombero di Castel Romano avverrà, come da programma di M5S, entro il prossimo mese di novembre. A spiegarlo in una nota è il consigliere capitolino pentastellato e vicepresidente della commissione Ambiente, Daniele Diaco, secondo cui “si procederà all’evacuazione delle 128 famiglie che ancora abitano quel campo rom”, come stabilito “dal Campidoglio con la pubblicazione di un bando per reperire enti del terzo settore che accompagnino i 600 ospiti in percorsi di accoglienza e inclusione.
Quarantena con terza dose: cosa fare se positivi o in caso di contatto stretto
Un vademecum per chi ha già fatto il booster anti Covid. Cosa devo fare se ho già fatto la terza dose di vaccino anti Covid ma contraggo il virus? E se sono asintomatico? E se ho un contatto stretto con un positivo? Il Green pass viene sospeso e come lo riattivo? Sono tante le domande che si affollano in questi primi giorni del 2022, soprattutto mentre i contagi continuano a crescere nel nostro Paese. Ecco dunque un vademecum per chi ha già fatto il booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi) per aiutarlo ad orientarsi tra quarantena, auto-isolamento e tamponi alla luce delle nuove regole fissate dall'ultimo decreto del 30 dicembre scorso.
POSITIVO ASINTOMATICO. Per i positivi asintomatici che hanno già ricevuto la dose booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi, cioè 120 giorni), la durata dell'auto-isolamento è di 7 giorni. Dopo questo periodo è necessario sottoporsi a un test antigenico o molecolare, l'esito negativo servirà a sbloccare il Green pass. Nel caso in cui il test sia effettuato presso centri privati abilitati, è necessario trasmettere alla Asl il referto negativo, anche con modalità elettroniche.
POSITIVO SINTOMATICO. Per i positivi sintomatici che hanno ricevuto la dose booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi, cioè 120 giorni), l'isolamento dura invece 10 giorni. Anche in questo caso è necessario un test antigenico o molecolare negativo.
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