L’uomo forte della destra italiana definito una cheerleader sulla stampa Usa. E queste sì che sono soddisfazioni! A farci la sorpresa non è uno dei pochi giornali nazionali che non gli fanno da tappetino, come La Notizia, ma l’autorevole quotidiano britannico The Independent, che ieri (leggi l’articolo) accusava Matteo Salvini di diffondere teorie cospirazioniste prive di fondamento sulla sconfitta elettorale di Donad Trump, e descriveva il “capitano” come una tipica ragazza pon pon che sgambetta per intrattenere la tifoseria. D’altra parte il segretario della Lega non si è risparmiato nell’indossare cappellini e – quando le metteva – mascherine inneggianti al presidente americano uscente. Carnevalate non ancora finite, visto che adesso lo statista di Pontida sprona Trump a denunciare i brogli nella corsa alla Casa Bianca, ovviamente senza avere uno straccio di prova di ciò che dice. Il leader del Carroccio allunga così la parabola discendente cominciata al Papeete e ormai inarrestabile.
La sfuriata di Sileri su La7: “Lo vogliamo capire che siamo in guerra? Poi chi ha sbagliato verrà cacciato a calci nel culo”
“Il problema non è il colore politico o altro, ma la sicurezza nazionale. Io me ne infischio dei 5 Stelle, del Pd, della Lega. Chi se ne frega. Si parla di sanità, di salute. Punto”. E’ l’appassionato sfogo del viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, che, ospite di “Non è l’arena” (La7), respinge l’accusa secondo cui la determinazione delle zone regionali del contagio da coronavirus nasconda motivazioni politiche. “La sicurezza nazionale – continua – passa purtroppo attraverso il sacrificio. E il sacrificio è, in primis, nostro, perché dobbiamo analizzare i dati, gestire e informare. E’ una sofferenza. Voi non immaginate che sofferenza ho io a pensare ai 38mila morti, ai miei colleghi morti, agli altri miei colleghi che mi chiamano tutti i giorni e che mi dicono: ‘Fate le zone rosse, perché non ce la facciamo più’. Lo vogliamo capire che siamo in guerra? E stiamo lottando per salvare l’Italia. Punto”. Al conduttore Massimo Giletti che gli ricorda alcuni esempi di disservizi e di ritardi in Lombardia, Sileri risponde: “E’ vero. Però questo è il momento in cui bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare. Poi chi ha sbagliato verrà cacciato a calci nel culo. Punto”.
Covid a Monza, l'allarme: "Infermieri al collasso, prendeteli dall’estero"
Il grido d’allarme di Donato Cosi, segretario del NurSind. Al San Gerardo su 600 posti letto 438 sono occupati da pazienti Covid. "Il Covid non aspetta i tempi della politica e della burocrazia: dobbiamo intervenire subito, è da oltre una settimana che siamo al collasso e non siamo più in grado di garantire la dovuta assistenza a tutti i pazienti ricoverati al San Gerardo. Fateci arrivare infermieri anche dall’estero". Il grido d’allarme di Donato Cosi, segretario del NurSind di Monza e della Brianza, nasce dai numeri del San Gerardo: su 600 posti letto a disposizione, 438 sono occupati da pazienti Covid di cui 38 in terapia intensiva. E anche il bollettino di ieri dei contagi in Brianza ha contato 877 nuovi positivi in un giorno (la metà di quelli registrati nelle 24 ore precedenti). Sono stremati gli infermieri e i medici di Monza. Decimati, anche loro, dal contagio: 320 quelli attualmente a casa, risultati positivi nella maggior parte dei casi per ‘contagi familiari’. Non bastano più le parole, perché «non sta andando tutto bene». Ecco perché Cosi ha inviato «una richiesta urgentissima di incontro» al prefetto Patrizia Palmisano, al sindaco Dario Allevi e al direttore generale dell’Asst di Monza Mario Alparone. Occorre trovare una strategia per alleggerire il carico di lavoro: «La direzione dell’ospedale ci ha sempre rassicurato, ma oggi lo scenario è drammatico. Il rapporto infermieri-pazienti sta peggiorando: un infermiere deve seguire 10 pazienti con il ‘casco C-pap’, in terapia intensiva si è passati da un infermiere per due pazienti a un infermiere per tre avendo dovuto inviare rinforzi all’ospedale della Fiera di Milano (48 tra medici e infermieri, ndr). E i sostituti reclutati all’interno dell’ospedale hanno un’età media di almeno 50 anni, con una lunga esperienza, ma inadeguati a una emergenza come questa».
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Vaccino Covid: quali sono gli effetti collaterali più comuni
"Qualche linea di febbre, un po' di mal di testa, un malessere simile a quello causato da un'influenza leggera" dice a La Verità Silvio Garattini, scienziato, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche, Mario Negri. Ma sui tempi è doverosa la cautela. A che punto siamo col vaccino anti-Covid? “L'università di Oxford che, in collaborazione con l'azienda farmaceutica AstraZeneca, sta lavorando su uno dei principali vaccini sperimentali a livello mondiale, ha parlato della prossima primavera. Ha detto che dovrebbe essere pronto entro marzo”. Sono le parole di Silvio Garattini, scienziato, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche, Mario Negri, intervistato da La Verità. Quali sono gli effetti collaterali del vaccino anti-Covid? Di fatto tutto procede come da programma, ma i tempi della scienza sono lunghi. Sulla sperimentazione del vaccino afferma: “La fase 3, quella definitiva, è in corso di completamento. Poi i risultati saranno presentati per la registrazione all'autorità regolatoria, l'Agenzia europea per i medicinali (Ema), che deve autorizzare la commercializzazione. Servono due indicazioni: il grado di protezione dal virus che deve essere almeno del 50% e la conoscenza degli effetti collaterali”. Bisogna preoccuparsi perché la sperimentazione è stata più volte interrotta? No, assicura Garattini: “Ci sono state interruzioni ma poi la sperimentazione è ripresa perché si è scoperto che gli effetti preoccupanti non erano causati dal vaccino.
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Pressing di medici e sindaci per il lockdown nazionale. Anelli: “La situazione fra un mese sarà drammatica. Arriveremo ad altri diecimila decessi”
Anche i sindaci di due importanti città del Sud, Napoli e Palermo, affinché il governo valuti misure più restrittive. Il sindaco Orlando a Conte: "In Sicilia stiamo rischiando una strage annunciata". “Lockdown totale, in tutto il Paese”. A chiederlo, alla luce dei dati, soprattutto quelli sui ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive (qui quelli di ieri), è il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo), Filippo Anelli, dalla pagina Fb della stessa Federazione. “Considerando i dati di questa settimana come andamento-tipo – ha spiegato Anelli – e se li proiettiamo senza prevedere ulteriori incrementi, la situazione fra un mese sarà drammatica e quindi bisogna ricorrere subito ad una chiusura totale. O blocchiamo il virus o sarà lui a bloccarci perché i segnali ci dicono che il sistema non tiene ed anche le regioni ora gialle presto si troveranno nelle stesse condizioni delle aree più colpite. Con la media attuale, in un mese arriveremmo ad ulteriori 10mila decessi”. Intervistato dal Gr2 Rai, Anelli ha acceso un faro anche sulla “carenza di medici specialisti”, mentre 23.000 medici laureati sono in attesa di potersi specializzare. E le graduatorie “sono bloccate per via dei numerosi ricorsi”.
Il lungomare di Napoli pieno mentre la Campania rischia la zona rossa
“Non ce n’è covid”, raconta uno spiritosone da una macchina mentre altri dicono che le mascherine sono un business. A Napoli con il sole il lungomare era pieno. In tanti, con mascherina, hanno scelto anche oggi il lungomare di Napoli per trascorrere qualche ora approfittando del bel tempo che ha permesso a qualcuno anche di fare il bagno e di prendere il sole. Famiglie, ciclisti, ragazzi si sono riversati nell’area dove anche i pescatori hanno venduto la loro mercanzia. Alcuni hanno anche scelto la spiaggetta situata davanti alla Rotonda Diaz per godere del clima dolce. Nella zona il traffico è apparso molto sostenuto. “Purtroppo chiudere il lungomare non è la soluzione alle immagini delle file di ambulanze e al collasso di ospedali, altrimenti lo avremmo già fatto”. Così il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, in un lungo post nel quale commenta la folla di persone che ieri, complice il bel tempo, si è riversata sul lungomare cittadino. “Il momento è di alta tensione – spiega de Magistris – e non mi stancherò di ripetere il mio pensiero, fondato su valutazioni oggettive e non su impostazioni dogmatiche. Mi rendo conto della semplificazione che fa notizia ‘de Magistris non chiude il lungomare’, ma le situazioni complesse e purtroppo drammatiche necessitano di soluzioni complesse”.
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Covid a Milano: diecimila casi in 7 giorni, ospedali come a marzo
I numeri della città nelle analisi sull’evoluzione della pandemia. Quasi 300 ricoverati ogni giorno nell’Ats, uno su tre abita a Milano. In Lombardia le terapie intensive e i reparti Covid sono pieni come alla fine di aprile: 650 ricoverati in rianimazione e 6.225 negli altri letti “Corona“ contati a ieri. La pressione sul sistema delle ambulanze, tra Milano e la Brianza, è già sui livelli di fine marzo, il momento peggiore della prima ondata: a fine ottobre le chiamate quotidiane per "eventi infettivi e respiratori" alla sala operativa del 118 competente per la metropoli e Monza sfioravano le 500 al giorno (il record è della Soreu di Bergamo e Brescia, 700 a inizio marzo), più di un terzo delle quasi 1.400 richieste di soccorso complessive (che però a marzo, in pieno lockdown, erano circa 200 in meno ogni giorno). Sono questi i numeri che raccontano in tempo reale l’evoluzione della pandemia. I dati quotidiani sui contagi, col tracciamento saltato per eccesso di positivi e l’“imbuto” inevitabile che si crea sul sistema dei tamponi, adesso risultano ancor meno rappresentativi di quanto siano mai stati. Ad esempio ieri, con 38.188 nuovi test caricati nel sistema di sorveglianza lombardo, la provincia di Milano aggiungeva 2.956 nuovi casi di coronavirus, di cui 1.204 in città. Sabato, con quasi ottomila tamponi complessivi in più, l’area metropolitana cresceva di 4.520 positivi (di 1.758 in città), ma più di cento, in base a uno dei dossier periodici della Regione che Il Giorno ha potuto consultare, il tampone l’avevano fatto da più di una settimana. I numeri dei contagi assumono più consistenza se osservati sull’arco di una settimana: da domenica 1° novembre a sabato 7 la città di Milano ha registrato più di diecimila nuovi casi accertati di coronavirus, di cui quasi 6.600 si sono aggiunti da mercoledì in poi; nel territorio dell’Ats (che include anche il Lodigiano), negli stessi quattro giorni, i nuovi positivi sono stati quasi 17mila, e oltre 660 sono operatori sanitari.
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Gli ospedali soffrono, i medici chiedono il lockdown
Pronto soccorso stracolmi da Torino a Napoli. Intanto il monitoraggio delle regioni non funziona. Il monitoraggio non funziona. O almeno non funziona nei tempi previsti e consueti. La cabina di monitoraggio che doveva elaborare i dati da presentare venerdì è slittata prima a sabato, poi a domenica. Ma anche oggi una fumata nera. Il Comitato tecnico scientifico era stato convocato alle 16. Un’ora di riunione prima del rompete le righe, in assenza dei dati da elaborare. Dopo una lunga giornata di attesa l’ennesimo nulla di fatto: la cabina di regia non si riunisce, appuntamento rimandato a lunedì in tarda mattinata, forse, perché ormai di certezza non ve n’è alcuna. L’unica è quella dei contagi, 32.616 oggi, e di una situazione di sofferenza tale negli ospedali da Nord a Sud (con una situazione in particolare a Napoli a un passo dall’essere fuori controllo) che ha portato il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli, a invocare un “lockdown totale per tutto il paese”. “I dati non arrivano, o sono incompleti”, si giustificano dal governo. La responsabilità addossata sulle Regioni, o almeno su alcune di esse, l’esecutivo alza le mani. “Il modello dei 21 parametri che definiscono i fattori di rischio incrociati con l’Rt è un modello che esiste da 24 settimane”, ha spiegato Roberto Speranza a In mezz’ora. “Non c’è stata una Regione che ci abbia detto che questo modello non andava bene o una voce parlamentare che ci abbia detto che non funziona”. A dirlo però sono i fatti. L’appuntamento con il monitoraggio diffuso dall’Istituto superiore di sanità il venerdì non è mai saltato. Almeno fino a quando i dati ivi raccolti non sono stati indicati come alla base dell’automatismo che porta a chiudere le Regioni. L’imbarazzo al ministero della Salute è palpabile.
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Cisgender e transgender: qual è la differenza?
Quando si parla di identità di genere e sessualità, si sente più spesso parlare di cisgender contrapposto a transgender. Questi due termini difatti sono molto diversi tra loro, poiché l’uno è l’opposto dell’altro. Ma oltre a questo, sono due “etichette” con le quali una persona si può definire. Il termine cisessuale è entrato nell’uso comune dagli Anni ’90, e da pochi mesi viene inserito anche come opzione nelle app d’incontri, per permettere agli utenti di definirsi. La differenza tra cisgender e transgender. Vediamo prima di tutto cosa significano questi due termini. Con cisgender si indica una persona che si riconosce nel sesso con il quale è nato, ovvero la sua sessualità coincide con la sua identità di genere. Quindi, se una persona è nata con gli attributi maschili e si riconosce come maschio, è un uomo cisgender. Una persona nata con le caratteristiche femminili sarà una donna cisgender solo se anche la sua identità di genere sarà femminile. La definizione aggiornata dal Dizionario Inglese di Oxford definisce un/una cisessuale come una persona a proprio agio con il suo sesso. Spesso i più “ignoranti” nei riguardi del mondo LGBTQ+ dicono “Ma allora siamo tutti cisgender“. Assolutamente no, perché non tutti si riconoscono nel sesso che hanno dalla nascita. Una persona transgender infatti non si riconosce nel proprio sesso. Una ragazza trans, ad esempio, si sente un maschio anche se esteriormente si identifica come femmina. Viceversa, un ragazzo trans si sente una donna ma ha le caratteristiche sessuali e fisiche di un maschio.
Covid, a Roma ressa nella centralissima via del Corso: assembramenti e zero distanziamento per la passeggiata
La foto scattata, ieri, domenica pomeriggio 8 novembre a Roma nella centralissima via del Corso sta facendo parecchio discutere. Nello scatto si nota un fiume di gente ammassata mentre passeggia nel centro cittadino senza alcun distanziamento. Complici le temperature primaverili, i romani si sono riversati in centro per una passeggiata all’insegna degli assembramenti in barba alle norme anti Covid. A Roma nelle ultime 24 ore si sono registrati 1.195 contagi, con un indice Rt a 1.2 e i centri commerciali sono chiusi il week end proprio per evitare la ressa del fine settimana.
Covid, oggi la decisione: ecco le Regioni che rischiano di diventare arancioni (o rosse)
È slittata per la seconda volta la riunione della Cabina di regia che effettua il monitoraggio sui contagi da Covid-19 nelle Regioni, un passaggio necessario per la loro collocazione in una delle tre fasce di rischio (corrisponenti a Regioni gialle, arancioni o rosse) previste dall’ultimo Dpcm. A costringere al rinvio dell’incontro, inizialmente previsto per sabato, poi spostato a ieri e infine a questa mattina, secondo quanto riporta Repubblica, è la presenza di alcune anomalie nei dati. Ma quali Regioni cambieranno fascia di rischio? Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, le candidate a entrare nella zona arancione, se non addirittura rossa, sono soprattutto Campania e Liguria, mentre qualche dubbio si avanza anche su Toscana, Emilia Romagna, Veneto e Lazio. Il Trentino Alto Adige, intanto, ha anticipato i tempi e ieri ha decretato la zona rossa in entrambe le province autonome. La situazione di tutto il paese, comunque, diventa sempre più critica, tanto che ieri la Fnomceo, Federazione degli ordini dei medici, ieri ha chiesto il lockdown per tutto il territorio nazionale. Cabina di regia, le ragioni del rinvio. La Cabina di regia si riunirà quindi questa mattina, su indicazione del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità (Iss), ed esprimerà le sue valutazioni sulla base dei 21 indicatori usati come parametri per decidere la collocazione di una Regione in fascia gialla, arancione o rossa. Ma quali sono le anomalie sui dati che hanno portato al rinvio della riunione? Finora le Regioni avevano comunicato settimanalmente i dati dalla domenica al mercoledì e la riunione dei tecnici si svolge il giovedì o il venerdì. Ma con la divisione dell’Italia in tre fasce di rischio (zone rosse, arancioni e gialle) questi dati assumono un’altra valenza, perché determinano quali restrizioni anti-contagio saranno imposte nella Regione in questione. Secondo quanto scrive Michele Bocci su Repubblica, alcuni assessorati alla Salute regionali inviano i numeri relativi agli indicatori incompleti oppure anomali.
Il vero problema degli ospedali oggi non sono i posti in terapia intensiva
Richeldi, pneumologo al Policlinico Gemelli e membro del Cts: "Gran numero di pazienti che, spontaneamente o su consiglio del medico curante, arrivano al pronto soccorso con sintomi. Sono spaventati, spesso è difficile rimandarli a casa e vanno ricoverati. Credo che il fenomeno riguardi almeno un terzo di quelli che entrano in ospedale". Luca Richeldi, 57 anni, è medico pneumologo al Policlinico Gemelli della Capitale, ma è anche membro del Comitato tecnico scientifico. Che cosa attende l'Italia nell'inverno del Covid? Sarà lunga, non ha dubbi l'esperto. "Il difficile - dice a Margherita De Bac del Corriere della Sera - è prevedere il futuro guardando il passato visto che i dati fotografano contagi avvenuti in media due settimane prima rispetto a quando vengono analizzati. Le epidemie si diffondono rapidamente e si estinguono molto lentamente. Prepariamoci a una maratona". Occhi puntati sugli ospedali. Gli ospedali sono sotto pressione ovunque. ..... "Le Regioni stanno chiedendo agli ospedali di aumentare posti letto ordinari e sub-intensivi. Ovviamente salvaguardando le altre attività cliniche e chirurgiche. Ciò rappresenta un grande sforzo". Il numero di ricoveri in terapia intensiva resta in ogni caso un indicatore molto affidabile, perché a differenza del numero dei nuovi casi accertati, il numero non risente del numero di tamponi effettuati o del cambiamento delle strategie di testing regionali. Inoltre è un indicatore conservativo, ovvero si accende rapidamente all’aumentare dei ricoveri, ma si spegne lentamente, perché i ricoveri nelle terapie intensive hanno durate abbastanza lunghe. Un malato Covid è sempre in una situazione complicata. Come valutare quando il ricovero è la strada corretta? "Le persone con sintomi non gravi dovrebbero essere curate a casa quanto più possibile e gestite a distanza dice Richeldi - Ogni famiglia dovrebbe avere in casa uno strumento indispensabile quanto il termometro, cioè il saturimetro, che serve a misurare il valore dell’ossigenazione nel sangue". Se il valore è sopra il 92% "si può ragionevolmente" escludere la polmonite. "In questo caso la malattia può essere gestita a domicilio. La misurazione va effettuata più volte al giorno".
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Vergognamoci per loro (alcuni governatori)
I fatti sono semplicissimi, talmente elementari che può capirli persino un “governatore” di centrodestra. I dati che hanno spinto il governo a dichiarare 4 Regioni rosse, 2 arancioni e tutte le altre gialle sono quelli comunicati dalle stesse Regioni alla Cabina di regia Governo-Regioni per il monitoraggio regionale della pandemia, creata ad aprile e operativa da maggio. Cabina di cui fanno parte tre rappresentanti delle Regioni. “Ogni settimana – spiega il presidente dell’Iss, Brusaferro – quei dati vengono analizzati, condivisi e validati tra Regioni, Iss e ministero e poi assemblati tramite 21 indicatori, su cui si esprime un giudizio di pericolosità basso, medio, moderato o alto”. I 21 parametri oltre cui scatta l’allarme rosso sono noti alle Regioni dal 30 aprile, nero su bianco nel decreto ministeriale di Speranza che fissa i criteri di chiusura in vista della seconda ondata. Non solo: il 12 ottobre tutti gli assessori alla Sanità hanno ricevuto il dossier con i quattro scenari di rischio e le misure restrittive per ognuno: le stesse che hanno imposto il Dpcm di mercoledì. Quindi le Regioni sapevano e condividevano tutto, anche se molti presidenti fanno finta di niente. Ma ormai il disgustoso giochino va avanti da nove mesi.
Non per nulla è l’Innominabile
Mentre gli strateghi discutono se abbia più vinto Biden o più perso Trump, se c’entri il Covid, se il sovranismo e il populismo siano passati o solo rimandati, noi profani preferiamo dedicarci a una questione all’apparenza minore: ma se il vecchio Joe è pappa e ciccia del nostro Innominabile, che salta sul carro del vincitore dopo aver perso tutto, lo chiama “fratello maggiore saggio”, racconta di averlo scoperto lui (“io ho capito che se la sarebbe giocata fino alla fine”) e narra telefonate, cene e pranzi quotidiani per scambi di “empatici consigli”, come avrà fatto a vincere? Stiamo parlando del politico che contende a Fassino il Guinness dei baci della morte e la fama di maggior perditore della storia dopo Fantozzi. Uno che dal 2014 riesce a schiantarsi in tutte le elezioni circoscrizionali, comunali e regionali, più referendum.
Matteo cheerleader di Trump
Ecco perchè la Calabria è finita in Zona Rossa
Tra incompetenze, infiltrazioni della ndrangheta, clientelismi e sprechi la sanità calabrese fa acqua da tutte le parti, e non da ora. Cinque aziende sanitarie provinciali: Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia. Poi ci sono le aziende ospedaliere di Reggio Calabria; Pugliese-Ciaccio e il Policlinico Mater Domini di Catanzaro; l'Annunziata di Cosenza. Una sanità tanto fragile da costringere il presidente, Giuseppe Conte, a dichiarare la Calabria zona rossa Covid, nonostante i numeri siano relativamente piccoli. Il rischio concreto è che il sistema sanitario calabrese possa collassare da un momento all'altro. LA STORIA. Ma se da una parte a rischiare di collassare il sistema sanitario, dall'altra fino a poche ore fa era ben solido il sistema Calabria che ruota attorno alla sanità. Un sistema rodato, collaudato e che affonda le radici negli anni passati. Un sistema che ha portato la sanità calabrese non solo ad essere talmente fragile da non garantire ai calabresi di curarsi, ma di produrre un deficit che dai 55 milioni del 2006 è arrivato agli oltre 200 milioni di euro, motivo per cui la sanità calabrese è commissariata da un decennio.
Coronavirus, Viminale: quasi mille multe in un giorno
Sono quasi un migliaio le persone multate ieri in tutta Italia per il mancato rispetto delle regole anti-contagio: il numero è più che raddoppiato in due giorni. Emerge dai dati del Viminale in merito ai controlli per il contenimento dell'emergenza Covid. Nello specifico, su 69.111 controlli, sono state sanzionate ieri 944 persone e denunciate 110. (queste ultime per non aver rispettato la quarantena dopo essere risultate positive). Sono stati 11.654 gli esercizi controllati: 139 i titolari sanzionati, 52 i provvedimenti di chiusura.
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Burioni: "Essere asintomatico al Covid non vuol dire essere sano: il corpo subisce comunque danni"
Il virologo Roberto Burioni sul sito Medical Facts: "Chi racconta cose diverse diffonde pericolose bugie". “In questi giorni si legge ogni sorta di corbelleria sul fatto che le persone infettate da Sars-CoV-2 e asintomatiche sarebbero sane, e non malate”. È l’incipit di un articolo firmato e pubblicato da Roberto Burioni sul sito Medical Facts. Il virologo scrive: “Asintomatico significa senza sintomi, il che in numerose condizioni cliniche non significa per niente non essere malati. I tumori – anche i più mortali – nelle fasi iniziali non danno sintomi, lo stesso vale per l’Aids per molti anni. Queste persone, pur essendo asintomatiche, se si sottopongono a esami clinici possono scoprire di essere gravemente malate, cosa importante da sapere perché se non si cureranno andranno incontro a una morte certa (o quasi), e il fatto di non avere sintomi è parte del problema”. Poi Burioni si sofferma sul Covid. “Molte persone infettate dal coronavirus non hanno effettivamente sintomi, ma questo non vuole dire che siano sane... Una porzione molto grande di persone, sebbene colpite da un’infezione silente e senza sintomi, internamente stanno subendo colpi all’interno del loro corpo di cui neanche sono a conoscenza’”. “Qualcuno - prosegue - penserà che sia terrorismo, ma le cose stanno esattamente così e chi vi racconta qualcosa di diverso non vi dice la verità, che io ritengo debba essere sempre detta, in modo da informarvi correttamente”. “Chi è asintomatico - spiega ancora Burioni-, vogliate chiamarlo malato o no, può essere indubbiamente in grado di contagiare gli altri. Su questo non solo non c’è più alcun dubbio, ma è certo che una percentuale altissima di infezioni è provocata da persone asintomatiche”.
De Magistris: "La situazione degli ospedali a Napoli è drammatica: solo la 'zona rossa' ci può salvare"
Il sindaco di Napoli su Facebook: "Non fateci scegliere se morire di Covid o di fame”. “Se la situazione degli ospedali è drammatica, come appare dalle testimonianze raccolte, vuol dire che probabilmente chi ha dichiarato zona gialla ha sbagliato, forse anche perché tratto in errore da dati non attuali, precisi e corretti forniti dagli uffici regionali”. A scriverlo su Facebook è il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. “A questo si aggiunga - prosegue de Magistris - che le persone in zona gialla non ricevono i ristori di chi si trova in zona rossa. La città di Napoli sta subendo, quindi, un danno enorme non certo per colpa dei napoletani. Insomma oggi il dramma è la sanità al collasso e la gente che muore e che non viene curata, nonostante il grande lavoro complessivo del personale sanitario. Se ci avete ridotto a questo non vi resta che adottare le decisioni consequenziali”.
"A breve un test per distinguere coronavirus e influenza, costerà massimo 10 euro"
L'annuncio arriva da Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto Spallanzani di Roma. Come si distingue l'influenza dal coronavirus e quando sospettare della Covid-19? Tra difficoltà respiratorie, mal di gola, febbre e tosse, i sintomi principali delle due malattie sono piuttosto simili. Ecco perché nella maggior parte dei casi solo un tampone può dire se si tratta di coronavirus, dando una diagnosi certa. Ora un test potrebbe aiutarci a distinguere tra influenza e coronavirus. "Probabilmente la settimana prossima arriveranno questi test per distinguere covid e influenza. Questi test che sono test antigenici ci consentono in tempi rapidissimi, tra i 15 e i 30 minuti, di sapere se il soggetto che si sottopone al test ha in corso un'attività virale da coronavirus oppure di tipo influenzale. Inutile sottolineare la grandissima rilevanza di questo test in un momento in cui purtroppo la curva epidemica è ancora in atto e che si sovrappone alla curva influenzale. Sarà molto rilevante dal punto di vista della sanità pubblica". Ad affermarlo è Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto Spallanzani di Roma nel corso della trasmissione di Rai 1 Buongiorno Benessere. I costi del test "saranno molto contenuti dai 4 ai 10 euro", ha aggiunto Vaia.
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Coronavirus in Italia, ultime notizie. Bollettino: 32.616 nuovi casi, 331 morti. Tutto il Trentino Alto Adige diventa zona rossa. Altre Regioni a rischio
Continua a crescere il numero dei contagi di Coronavirus in Italia. Finora l’epidemia ha colpito 935.104 persone, provocando 41.394 morti. ..... Il bollettino di oggi: 32.616 nuovi casi, 331 morti – Sono 32.616 i nuovi casi, con 331 morti. È di 558.636 persone attualmente positive (+26.100), 41.394 morti (+331), 335.074 guariti (+6183), per un totale di 935.104 casi (+32.616), il bilancio inerente all’epidemia di Coronavirus in Italia emerso dal consueto bollettino quotidiano diffuso dalla Protezione Civile e dal ministero della Sanità. Dei 558.636 attualmente positivi, 26.440 (+1331) sono ricoverati in ospedale, 2749 (+115) necessitano di terapia intensiva, mentre 529.447 (+24.654) si trovano in isolamento domiciliare. Speranza: “Torni spirito di marzo, ridurre relazioni sociali” – Tra la gente “vedo ancora una consapevolezza che non è all’altezza del problema che stiamo vivendo”. Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza a In mezz’ora in più su Rai3. “Ci sono le ordinanze dei ministri e dei presidenti di Regione, c’è il lavoro straordinario dei sindaci – ha insistito – ma deve tornare lo spirito di consapevolezza di marzo. Il virus circola dappertutto e stare in una zona gialla non significa stare in un porto sicuro, perché le difficoltà ci sono in tutti i territori.
"Tutta l’Italia deve essere zona arancione”
Enrico Coscioni, primario di cardiochirurgia all'ospedale di Salerno e tra i componenti della Cabina di Regia dell'emergenza per la Campania oltre che presidente dell’Agenas (l’Agenzia pubblica dei servizi sanitari regionali) e consigliere del governatore Vincenzo De Luca, in un'intervista rilasciata alla Stampa lancia un grido d'allarme sul sistema di monitoraggio che dipinge l’Italia di giallo, arancione e rosso. Perché secondo lui mancano i provvedimenti seri: "La politica non può delegare le decisioni a un algoritmo che definisce il profilo di rischio sulla base di 21 indicatori, con dati in alcuni casi impossibili da rilevare come quello dei giorni che intercorrono dalla data di inizio dei sintomi alla diagnosi. Con 40mila contagi al giorno non riuscirebbe a saperlo nemmeno il padreterno. La realtà è che i dati generali parlano di una epidemia in evoluzione da nord a sud. Servono provvedimenti suscala nazionale e serve assumerli presto. Meccanismi troppo complessi come quelli del monitoraggio finiscono per far ritardarele decisioni". Coscioni dice che le Regioni possono fare poco:
Covid: rischio zona rossa anche in Campania e Liguria
Da domani alcune Regioni italiane potrebbero essere riclassificate come “zona arancione” o “zona rossa”, in virtù dell’analisi dei nuovi dati del Cts e della nuova riunione della cabina di regia sul Covid, in programma per oggi domenica 8 novembre 2020. L’inserimento delle Regioni in altre fasce di rischio comporterebbe il conseguente inasprimento delle misure. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, le candidate a entrare nella zona arancione, se non addirittura rossa, sono soprattutto Campania e Liguria. Qualche dubbio si avanza anche su Toscana,Emilia-Romagna, Veneto e Lazio. Campania. Per quanto riguarda la Campania, inserita a sorpresa in zona gialla (cioè senza restrizioni aggiuntive), secondo la Regione Napoli e Caserta hanno un indice Rt molto elevato, le altre tre province basso, e dunque la media regionale sta sotto l’1,5.
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L’ex Pci Cacciari finito più a destra di Salvini. Se finora gli autonomi hanno pagato di più il prezzo della crisi il filosofo si augura che adesso tocchi pure agli statali
La parabola intellettuale e politica del filosofo Massimo Cacciari è inquietante. Figlio dell’alta borghesia esordisce da giovane occupando a Mestre la stazione insieme alle tute blu, diviene un militante di Potere Operaio per poi entrare nel Partito comunista. Si laurea in filosofia a Padova e viene creato professore ordinario di Estetica a Venezia sua città natale. Due volte – in periodi diversi – sindaco della città lagunare con i Democratici di Romano Prodi e con l’Ulivo, due volte deputato del Pci e poi Europarlamentare. Studioso di Marx, Heiddeger, Nitzsche e Wittgenstein si segnala negli anni per un inarrestabile passaggio su posizioni conservatrici se non di destra. Ci ha abituato, da personaggio televisivo, a uscite bislacche e deflagranti come quella recente a Piazza Pulita in cui ha lanciato strali contro gli statali: “Voglio dire ai miei colleghi dello stato e del parastato, prima o dopo arriveranno a voi, per forza. E io spero che ci arrivino presto, perché è intollerabile che questa crisi la paghi metà della popolazione italiana”.
La mascherina? “Non serve a un cazzo. Per prenderti il virus devi pomiciare”: le dichiarazioni shock del nuovo commissario alla sanità in Calabria Zuccatelli
Nominato nelle scorse ore il nuovo commissario per la Sanità in Calabria Giuseppe Zuccatelli, le incredibile parole sul contagio del Coronavirus. “La mascherina non serve a un cazzo, per prenderti il virus se io sono positivo devi baciarmi con la lingua in bocca per 15 minuti“. Sono considerazioni shock, non di un negazionista della strada, un troglodita che arriva dalla giungla o la satira di un comico di bassa lega. Lo ha detto, davvero, poco tempo fa, Giuseppe Zuccatelli, 76 anni di Cesena, nominato nella notte dal governo Conte, su indicazione del Ministro Speranza, nuovo commissario della sanità in Calabria al posto di Cotticelli. Zuccatelli, amico intimo di Pierluigi Bersani, era già stato nominato dallo stesso Speranza a dicembre 2019 come commissario dell’azienda ospedaliera “Pugliese Ciaccio” e l’azienda ospedaliera universitaria “Mater Domini” di Catanzaro, inoltre per un breve periodo è stato anche commissario straordinario dell’Asp di Cosenza. Dovrebbe essere lui a traghettare la Calabria nei prossimi giorni fuori dalla zona rossa, adeguando il piano Covid e la situazione ospedaliera regionale. Ma proprio dopo la nomina, raggiunto telefonicamente dall’Ansa, ha detto: “Guardi, sono stanco, ho il Covid e sono in quarantena. Ne parliamo tra qualche giorno“. E i calabresi aspettano, ancora, invano.
Milano: Positiva a marzo, donna si "reinfetta" nella seconda ondata: è grave
Il caso a Corbetta, in provincia di Milano. Il racconto del sindaco: "Non sta bene, questa volta l'ha presa più forte". Positiva al coronavirus nel mese di marzo, durante la prima, terribile ondata. E, dopo essere guarita, ancora positiva a novembre, dopo otto mesi. La vicenda è raccontata dal sindaco di Corbetta Marco Ballarini. Non è noto se la donna si sia effettivamente reinfettata - allo stato attuale sono pochissimi i casi al mondo confermati dagli scienziati di reinfezione da Sars-Cov-2 e ci sono poche evidenze sulla questione - o se la malattia l'abbia accompagnata silente in questi mesi, senza scomparire mai. La donna positiva al coronavirus a marzo e di nuovo positiva a novembre. Ma il primo cittadino avverte gli abitanti, in questi giorni in zona rossa, di non sottovalutare la patologia respiratoria. "Non è un nemico immaginario, il Coronavirus è un male invisibile ma tremendo che imperterrito attacca ancora con ferocia. Una nostra concittadina, già positiva a marzo, dopo essere guarita col doppio tampone negativo, ora si ritrova a dover lottare ancora contro questa temibile malattia", racconta.
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Coronavirus in Italia, ultime notizie. Viminale: possibile chiudere strade e piazze anche prima delle 21. Cdm approva il decreto ristori bis. Conte: “Chi rifiuta le tre fasce ci porta al lockdown”
Continua a crescere il numero dei contagi di Coronavirus in Italia. Covid nelle ultime 24 ore: Finora l’epidemia ha colpito 862.681 persone, provocando 40.638 morti. Qui le ultime notizie sul Covid-19 nel mondo. Di seguito tutte le ultime notizie sul Coronavirus in Italia di oggi, sabato 7 novembre 2020, aggiornate in tempo reale. Viminale: possibile chiudere strade e piazze anche prima delle 21 – Con l’entrata in vigore del nuovo Dpcm ci sarà la possibilità di chiusura di strade o piazze anche prima delle 21. Lo scrive il Viminale in una circolare inviata ai prefetti che avrà una durata minima di 15 giorni, ma non superiore al periodo di validità del Dpcm, cioè il 3 dicembre.
Renzi, Boschi e Lotti indagati a Firenze per finanziamento illecito ai partiti. L’inchiesta riguarda la Fondazione Open e fondi sospetti per oltre 7 milioni
Il leader di Italia Viva ed ex premier Matteo Renzi è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Open con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti in relazione ai fondi gestiti dalla fondazione che organizzava la Leopolda. Stesse accuse, per fatti avvenuti nel periodo 2012-2018, sono state contestate dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi anche agli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, in quanto componenti del direttivo della stessa fondazione renziana. La Procura fiorentina ha notificato a tutti un invito a comparire per il prossimo 24 novembre. Nell’ambito della stessa inchiesta risultavano già indagati anche altri due fedelissimi renziani, Marco Carrai e Alberto Bianchi.
Solo così possiamo vincere la battaglia. Non si tornerà indietro. Conte: “L’alternativa è chiudere ancora una volta il Paese con danni enormi per tutti”
In questo momento il virus corre veloce in tutto il Paese, non ci sono Regioni verdi. "Questo significa che difficilmente potremo trasportare i malati da una regione all’altra se la curva continuerà a salire in modo esponenziale". “Unità significa solidarietà, non omogeneità. Non sono giornate felici per le aree rosse. I cittadini sono costretti a un nuovo regime molto penalizzante perché sono misure che limitano la circolazione e rischiano di deprimere tanti ristoratori, esercenti attività commerciali e operatori economici. Ma anche le aree arancioni e gialle sono sottoposte a misure restrittive, pur differentemente graduate. Non facciamo tutto questo a cuor leggero. Solo così possiamo contrastare il Covid e vincere questa battaglia. Speriamo il più presto possibile”. E’ quanto ha detto al Corriere il premier Giuseppe Conte a proposito delle ultime misure introdotte dal Governo per contrastare la seconda ondata dell’epidemia. Quanto al meccanismo di individuazione delle tre fasce e le lamentele di alcuni governatori, il premier osserva che “nessuno ha mai messo in discussione, prima di adesso, questo meccanismo (NdR: previsto da un decreto del 30 aprile 2020) e rifiutarlo significa portare il Paese a sbattere contro un nuovo lockdown generalizzato. I cittadini della Lombardia, del Piemonte, della Valle d’Aosta, della Calabria, non ne trarrebbero nessun beneficio. Senza contare l’ingiustizia di imporre lo stesso regime di misure che stiamo applicando alle Regioni rosse anche a cittadini che vivono in territori in condizioni meno critiche”.
“Necessaria attivazione livello 4”: la circolare del 2/11 che smentisce Fontana sui dati Covid in Lombardia
“Le attuali proiezioni delle esigenze di offerta assistenziale ospedaliera fanno ritenere che tra 14 giorni il fabbisogno di posti letto per pazienti Covid risulti essere di circa 750-800 p.l. di TI, di circa 7.500- 8.000 p.l. per acuti (di cui circa il 15-20% con assistenza ventilatoria non invasiva), e di circa 1.500 p.l. di degenze sub acute e di comunità”. Spunta la circolare firmata lo scorso 2 novembre dall’assessore alla Sanità Giulio Gallera che, di fatto, smentisce il governatore Fontana sulla questione dell’assegnazione della zona rossa alla Lombardia. Attilio Fontana aveva accusato il governo di aver basato la suddivisione delle regioni su dati vecchi, parlando di un Dpcm che dava uno “schiaffo alla Lombardia e ai lombardi”. Oggi però si apprende che la Regione Lombardia stesse già misurandosi con dati in netto peggioramento. Come riporta Il Fatto Quotidiano, questo è un estratto di quanto inviato da Giulio Gallera agli ospedali lombardi lunedì scorso, 2 novembre: “In considerazione della ulteriore crescita della curva dei contagi da virus Sars Cov 2 – si legge nelle circolare inviata dall’assessore alla Sanità e al Welfare della Regione Lombardia – si rende necessario dichiarare l’attivazione del livello 4 dell’organizzazione ospedaliera”. E la nota si concludeva con l’invito alla “immediata sospensione totale delle attività di ricovero programmato”.
Opposizione senza buonsenso
Da stamattina l’Italia ha un tricolore diverso da quello che ci unisce sotto un’unica bandiera. Al contrario giallo, arancione e rosso ci dividono a seconda di dove è maggiore o minore il rischio pandemia. Una soluzione inevitabile per provare a scongiurare un nuovo lockdown generale, che non ci possiamo permettere e che al momento non è necessario se guardiamo, prima della mappa dei contagi, la pressione su ospedali e terapie intensive. Questi nuovi sacrifici non è detto però che bastino, e a vedere come vanno le cose nel resto d’Europa, dove ogni giorno registriamo un nuovo record di positivi, non c’è molto da essere ottimisti. Tuttavia ci stiamo provando, e se esiste una possibilità di farcela questa passa dal buonsenso di tutti, dai singoli cittadini a chi fa opinione e chi ci rappresenta nei palazzi della politica: dal Governo alle autonomie locali e le Regioni. Un buonsenso che non sempre prevale. Ieri su un treno da Roma e poi sul metrò di Milano ho visto il numero dei passeggeri dimezzato e il personale che invece lavorava il doppio, con impegno e dedizione per rassicurare le persone, igienizzare e controllare. Un esempio perfetto di quello che adesso la politica dovrebbe fare: smetterla con il litigare su tutto e collaborare per rasserenare gli animi, votare velocemente e tutti insieme i provvedimenti in Parlamento e fare arrivare prima possibile gli aiuti economici a famiglie e imprese. In un Paese normale questo sarebbe il minimo sindacale, ma nella realtà lacerata che viviamo, con opposizioni incapaci di collaborare, se non a chiacchiere, e le Regioni che hanno confuso l’autonomia con l’anarchia, lo scenario è sconfortante.
Milano: Altro che sintomi lievi, "negli ospedali arrivano pazienti gravi. In pronto soccorso è un flusso continuo"
Al "Corriere della Sera" la testimonianza di Andrea Gori, primario di Malattie infettive del Policlinico di Milano: "Gli accessi sono stati e sono continui". E per l'infettivologo Massimo Galli la situazione è più preoccupante che in primavera. Non è vero che nei pronto soccorso arrivano in larga parte pazienti con sintomi lievi che potrebbero stare a casa anziché ingolfare il sistema sanitario. O almeno non è questa l’esperienza di Andrea Gori, 57 anni, primario di Malattie infettive del Policlinico di Milano, che intervistato dal "Corriere della Sera" fa il punto della situazione nella struttura in cui opera. Non un piccolo nosocomio di provincia, ma uno dei maggiori ospedali nazionali. "Oggi (ieri, ndr) gli accessi al Pronto soccorso sono stati e sono continui. Già sappiamo che andranno ulteriormente a crescere fino a lunedì. Almeno fino a lunedì". Ma il peggio è che secondo Gori quello degli ospedali intasati da pazienti paucisintomatici è una verità di comodo. Se a marzo, dice il primario, "non veniva nessuno... Per difficoltà d’accesso, diciamo così, oppure per paura", oggi la situazione è radicalmente cambiata. Sento in giro dire che tutti, senza distinzione, al primo colpo di tosse chiamano un’ambulanza e pretendono il ricovero. Per niente. Chi ha contratto il virus ma è in condizioni generali che gli permettono di gestire la malattia, sta a casa". Nei pronto soccorso "arrivano casi gravi" sottolinea Gori che almeno per le prossime due settimane non si aspetta miracoli: se il numero dei nuovi contagi potrebbe e dovrebbe calare, "i numeri che non si abbasseranno, al contrario, saranno quelli delle terapie intensive. Una parte dei pazienti adesso ricoverata, in terapia intensiva ci entrerà. Gli scenari non mutano per magia".
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