La rivincita di Virginia Raggi
La colonna sonora della rivincita di Virginia Raggi è il suono del cellulare che non smette mai di vibrare dopo mesi che è rimasto muto. La chiamano in tantissimi e in tantissimi inviano messaggi. Soprattutto del M5S: compagni di partito che devono levarsi di dosso l'immagine dei congiurati, grillini che scommettevano sulla sua condanna per aprire la strada a una possibile alleanza cittadina con il Pd. Sono quelli che «salgono sul carro del vincitore». Troppo facile farlo ora, sostiene Raggi appena uscita dal tribunale, il volto rigato dall' emozione e la voglia di rivalsa da urlare ai microfoni. Il j' accuse non è improvvisato ma studiato parola per parola. E serve soprattutto a lanciare un avviso. Raggi infatti è pronta a candidarsi per un posto nell' organo collegiale che definirà la leadership del Movimento quando la tanto attesa competizione interna avrà luogo, forse a gennaio. È il secondo tempo della sua personale sfida nei confronti di chi le ha fatto pesare solitudine e silenzi. I «tanti - dice - che dovranno riflettere». Non fa nomi, ma è evidente che punta alla classe dirigente del M5S, che non può non includere l'ex capo politico Luigi Di Maio e l'attuale reggente Vito Crimi, Paola Taverna e chi non l'ha sostenuta in anni di feroci conflitti cittadini e nazionali, di cause e lacerazione interne.
Marco Travaglio: Due Raggi e due misure
A volte la cronaca sa essere ancor più ironica della storia. E così accade che in poche ore la mitica Procura di Roma del grande Pignatone e dei suoi allievi, santificata per anni dai turiferari dei giornaloni, venga messa definitivamente in mutande da due eventi giudiziari che parlano da soli: le richieste di rinvio a giudizio per Tiziano Renzi, Alfredo Romeo &C. che Pignatone &C. volevano a tutti i costi far archiviare sul caso Consip; e l’assoluzione anche in appello di Virginia Raggi che Pignatone &C. volevano a tutti i costi far condannare sul caso Marra. Il fatto poi che l’inchiesta Consip sia partita a Roma nel dicembre 2016 e sia ancora impantanata in udienza preliminare, mentre l’inchiesta Raggi è partita nel gennaio 2017 e ha già finito l’appello, è solo la ciliegina sulla torta.
Nuovo ceppo Covid, l’Italia sospende i voli con il Regno Unito. Di Maio: “Dobbiamo proteggere gli italiani”
Anche l’Italia ha deciso di sospendere i voli con la Gran Bretagna a causa della diffusione della variante del Covid-19. Ad annunciarlo, su Facebook, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Il Regno Unito – scrive il ministro – ha lanciato l’allarme su una nuova forma di Covid che sarebbe il risultato di una mutazione del virus. Come Governo abbiamo il dovere di proteggere gli italiani, per questa ragione, dopo aver avvisato il Governo inglese, con il ministero della Salute stiamo per firmare il provvedimento per sospendere i voli con la Gran Bretagna. La nostra priorità è tutelare l’Italia e i nostri connazionali”. Blocco voli fino al 6 gennaio. L’ordinanza di blocco dei voli dal Regno Unito, firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza, produce effetti dalla data di adozione, ossia oggi, fino al 6 gennaio 2021.
Era inevitabile tornare ai divieti
I numeri si sa che sono argomenti testardi, e di fronte a 700mila morti solo quest’anno, cioè quanti ne contavamo nel 1944, durante la seconda Guerra mondiale, tutte le chiacchiere su come affrontare la pandemia lasciano il tempo che trovano. Perciò smettiamola col giustificare le povere persone che non ne potevano più di stare a casa nell’ultimo weekend o l’economia che deve girare, e diciamo chiaro che le folle viste in strada per lo shopping hanno dimostrato un’enorme stupidità. La prova provata che non si può fare alcun affidamento sulla responsabilità generale e dobbiamo tornare di corsa ai divieti. E pure a quelli stretti. Una sconfitta della quale possiamo ringraziare chi ha alimentato anche per motivi politici una comunicazione criminale, che tuttora nega o minimizza i pericoli del virus, nonostante sia alla portata di tutti andare a vedere che pressione c’è sugli ospedali. Così al Governo non si lascia scelta e nelle nuove misure che saranno stabilite tra breve, dovremo mettere in conto altri giorni chiusi a casa, sperando che non parta una terza ondata dei contagi e comunque rinviando l’uscita da quest’incubo.
Cantone (M5S): “Conoscendo la storia di Giorgia Meloni, ricordiamola ai suoi sostenitori!” Ecco alcune delle tappe principali
E alla fine Meloni ha ammesso di aver detto una fake news sul MES
È arrivata. Dopo una settimana in cui l'intera opposizione ha avvelenato il clima del Paese affermando che durante l'eurogruppo si sarebbe firmato il MES, ieri sera è arrivata la candida confessione di uno dei due capi dell'opposizione. A mezza bocca, Giorgia Meloni ammette di aver detto una cosa "inesatta. In altri termini, di aver detto una fake. Perché inesattezza significa dire una cosa a metà. Sbagliarsi, ma non troppo. Andarci vicino, quantomeno. Mentre, per una deputata ed un senatore (e rispettivamente ex ministri), che qualcosina su come funzionano trattati dovrebbero saperla, affermare che un eurogruppo in conference call avrebbe "firmato" il MES non è un'inesattezza: è una fake news. Perché lì sta la differenza: nella totale consapevolezza che quanto affermato fosse falso, giacché tecnicamente impossibile. Il problema di questa confessione, invero, è che arriva dopo una settimana, come detto, di inferno. Di più: che arriva dopo una settimana di pesantissime accuse e di manovre (fortunatamente malriuscite) volte a screditare governo e Presidente del Consiglio. Presidente del Consiglio accusato di tradimento, di atteggiamento dittatoriale, di falsità. Tutto, badate bene, basato su quella che ieri Meloni ha galantemente classificato come "inesattezza". In altri termini: tutto ciò che è scaturito da quella inesattezza è stata propaganda di basso livello. Tutto. Tranne una cosa: il discorso di Conte. Che oggi, alla luce di questa confessione, assume il valore che per buona parte degli italiani ha sempre avuto: un momento per ristabilire la verità. Su cosa? Su quella firma, sul MES.
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Lo ‘sciopero’ su Change.org dei liceali che chiedono il rinvio della maturità
La scuola senza alunni e chissà quando si ripopolerà di studenti. I ragazzi delle superiori, al netto delle primissime settimane di scuola, si sono ritrovati – chi prima e chi dopo, a seconda dello sviluppo dei focolai all’interno degli istituti secondari – in didattica a distanza dal mese di ottobre, praticamente. Una situazione molto diversa rispetto ai loro colleghi della maturità 2020 che, sebbene si siano trovati impreparati di fronte allo sconosciuto nemico Covid, avevano comunque sette mesi di scuola alle spalle prima delle prove finali. Per questo motivo, con un orizzonte ancora non chiaro sul ritorno in classe, i programmi dilaniati dalla didattica a distanza, le incertezze dovute alla situazione globale del pianeta, è stata lanciata una petizione per rinvio maturità 2021. Petizione per rinvio maturità 2021, il lancio su Change.org. Il tam tam si è diffuso immediatamente sui social network. È stata creata una pagina Facebook e su Instagram c’è già l’account @nomaturità_official. Mentre la petizione su Change.org – una sorta di sciopero virtuale che si sta sostituendo alle proteste davanti ai cancelli degli istituti superiori – ha già raggiunto le 25mila firme che, tra le altre cose, erano anche l’obiettivo minimo dell’iniziativa.
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Gli errori che noi giornalisti commettiamo sulle misure del lockdown di Natale
Informazioni frammentate e sempre diverse, in rincorsa rispetto a processi decisionali. Sul lockdown di Natale c’è stata una narrazione sbagliata sin dall’inizio. Abbiamo chiaramente seguito le indicazioni di un governo che, nella sua breve vita, ci ha abituato comunque a fughe in avanti, allo strumento della bozza, al retroscena che prevale sui fatti, ai “sondaggi” sugli spifferi. Ma questo atteggiamento è figlio anche della corsa al click. E noi lo sappiamo bene. Nei mesi del lockdown, notizie su regole, assembramenti, permessi, autocertificazioni (era diventato addirittura un format: ogni volta che usciva una nuova autocertificazione, i dati degli articoli che ne parlavano erano tra i più alti dei vari siti di informazione) erano le più lette, le più cliccate. Creavano interesse, suscitavano discussioni e dibattiti sui social network. Lockdown di Natale e comunicazione sbagliata. I giornali, noi giornalisti, abbiamo inseguito questo schema fino a quando – soltanto alcuni, non tutti eh – ci siamo resi conto che si trattava di uno schema dannoso. Perché quello che, all’inizio della pandemia, sembrava un servizio (informare la popolazione in una contemporaneità molto difficile da analizzare, perché l’epidemia globale non è una cosa che si verifica tutti i giorni), adesso è diventato uno stucchevole esercizio stilistico: bastava avere un si dice per costruire un articolo. E questo ha creato un duplice problema.
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Angelo Ciocca (LEGA): "Dosi dei vaccini su base economica: se si ammala un lombardo vale più di un laziale"
L’ipotesi che la Lombardia potrebbe avere un numero di vaccini non commisurato alla popolazione rispetto al Lazio ”è possibile se qualcuno vuole fare politica sulla salute della gente, se qualcuno pensa di fare clientelismo territoriale”. Lo ha detto l’europarlamentare pavese della Lega, Angelo Ciocca, nella trasmissione ‘Lombardia nera’ su Antenna 3. “Si premia una Regione rispetto a un’altra perché una a livello democratico ha un colore rispetto a un altro - ha proseguito -. I fattori che devono portare alla distribuzione del vaccino devono essere il numero di abitanti, una proporzione fra quanti abitanti ho e quanti vaccini. Non è pensabile che la Lombardia che ha il doppio degli abitanti del Lazio possa ricevere meno vaccini. Poi bisogna valutare quanto l’importanza economica del territorio. La Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia”. “Addirittura?”, ha replicato il conduttore Marco Oliva. “Sì, è un dato di fatto. Se si ammala un lombardo, economicamente, da imprenditori, vale di più rispetto a un laziale”, ha aggiunto l’ europarlamentare.
Marco Travaglio: Maalox Day
E niente, è andata così. Doveva essere il D-Day dello Statista di Rignano, che ci lavorava da giorni a suon di credibili ultimatum, autorevoli broncetti della Boschi e probabili euromissioni della ministra bracciante, fino al papello con 20 richieste di riscatto per il rilascio del governo. Invece a guastargli la festa è arrivato il blitz di quegli incapaci di Conte e Di Maio per liberare i 18 pescatori in Libia, dopo lunghe trattative di quegli inetti dei servizi segreti da loro mal scelti e peggio guidati che bisognava al più presto affidare a Rosato (molto apprezzato da Le Carré) o a un altro James Bond. Colonna sonora: denti che rosicchiano fegati e cappelli alla Rockerduck. L’Innominabile, che passa la vita a fare polemiche soprattutto con i presunti alleati, invita gli altri a “non fare polemiche”. Rosato e gli altri italomorenti esaltano i servizi segreti per non nominare il premier e il ministro degli Esteri: se non liberano i pescatori è colpa loro, se li liberano è merito della Bellanova. La Fusani al seguito secerne bile su Twitter: “La domanda del giorno è: cosa Conte e Di Maio hanno dato o promesso al generale Haftar?” (chiedilo a Pio Pompa). Il Cazzaro Verde dice che “certe cose prima si fanno e poi si annunciano”, tipo quand’era ministro dell’Interno e annunciava gli arresti a Torino di 15 mafiosi nigeriani prima che li prendessero, così qualcuno se la dava a gambe. Gli stessi che accusavano il governo di non andare in Libia a riprenderli, ora che è andato in Libia a riprenderli tuonano contro la “passerella mediatica”, domandano perché ci han messo tanto e perché ci sono andati proprio Conte e Di Maio (dovevano mandarci la Bellanova, ma aveva pilates). Manca poco che si dica che i pescatori li hanno rapiti loro.
Governo, l’ultimatum di Renzi a Conte: “Vogliamo risposte entro il 6 gennaio”
Solo gli incontri di boxe truccati durano così poco. O i confronti politici quando servono a prendere tempo e a raffreddare la tensione. L’epilogo di questa crisi non era ieri, e ancora non si sa quando sarà. Non lo sa Giuseppe Conte, ma forse lo sa un po’ di più Matteo Renzi che come da copione si presenta con la delegazione di Italia Viva a Palazzo Chigi e ci resta una mezz'oretta scarsa. Un confronto lampo per non dare modo al premier di fare ricorso alle arti avvocatesche della persuasione e della mediazione. Conte ha in mano il documento di cinque pagine che il senatore fiorentino gli ha inviato la sera prima. Là dentro, secondo i renziani, è contenuto il destino del governo. Il presidente del Consiglio dice: «Interessante e utile per il confronto». E cos’altro, poteva dire? Tempo: è quello che serve a entrambi, sia a Conte sia a Renzi. Al primo per avere conferma che il leader di Iv stia facendo sul serio, al secondo per vedere maturare il senso di una crisi a cui va consegnata una conclusione. Forse non basterà un tavolo con tutti i partiti di maggioranza che il premier si appresta a convocare, ma se sarà il rimpasto a sigillare la fine, come tutti ormai nel governo prevedono, servirà un pretesto, un’occasione, il classico momento giusto. Renzi non appare intenzionato a concedere una tregua lunga. Entro i primi di gennaio vuole una risposta. «Vado avanti come previsto, pronto a ritirare i ministri», è quello che dice e fa dire ai suoi, compresi i presenti all’incontro, i due capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone, la capodelegazione e ministra Teresa Bellanova, Elena Bonetti e il presidente di Iv Ettore Rosato.
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Un milione di giovani a rischio alcolismo: "Consumi su del 200%, colpa del lockdown"
Consumi su del 200%, sono 10 milioni le persone con dipendenza. “Il 20% dei pazienti che ne erano usciti, sono ricaduti nel tunnel”. Alberto è un grafico pubblicitario di Monza, 54 anni. Dalla primavera scorsa in smart working. Quando andava in ufficio, durante la pausa pranzo, beveva acqua naturale e andava tutti i giorni in palestra. Adesso che è a casa, 2 bicchieri di vino rosso e poi un amaro, spesso un altro ancora. La sera poi finisce la bottiglia, però giura: “E’ tutto sotto controllo”. La moglie ha chiesto aiuto, dice che diventa nervoso, è aggressivo coi figli. Giulia e Maurizio, coppia quarantenne di Parma, ha cominciato durante il lockdown con l’aperitivo in salotto: gin tonic e patatine prima di un film su Netflix. Volevano solo celebrare la libertà di stare insieme, finalmente lontani dall’ufficio. Ora la spesa al supermercato è quasi tutta per l’alcol. Se ne sono resi conti: hanno paura. Luca, trentunenne elettricista di Genova: era in cura per la dipendenza di alcol e droga, da 4 anni niente più passi falsi. In aprile, durante la quarantena, la madre lo ha trovato sulla terrazza del palazzo dove vivono: svenuto, con accanto due bottiglie di liquore. Vuote.
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Corruzione elettorale in Sicilia. Indagato un uomo di Renzi. Sammartino accusato di aver favorito i clan. Nell’inchiesta pure 18 persone in manette
Un posto di lavoro per il nipote di un uomo del clan Laudani e lo spostamento di una cabina telefonica in cambio di voti elettorali. Con queste accuse è indagato, dalla Procura di Catania, il deputato regionale della Sicilia e presidente di Italia Viva della commissione cultura dell’Ars, Luca Sammartino (nella foto con Renzi), definito “mister preferenze” alle regionali del 2017 dove ha ottenuto 33 mila voti. Lo si apprende dal fascicolo dell’inchiesta per la quale, ieri, sono state eseguite 18 misure di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone ritenute appartenenti ai clan Laudani e Santapaola. Agli arrestati vengono contestati, a seconda delle posizioni, i reati di associazione mafiosa, estorsione, usura, turbativa d’asta, favoreggiamento personale, detenzione e porto di arma da fuoco. Al leader dei renziani in Sicilia, invece, viene contestata la sola corruzione elettorale per aver promesso utilità, si legge nell’atto, a Girolamo Lucio Brancato, ritenuto esponente di spicco della frangia del clan Laudani al cui vertice c’è il boss Orazio Scuto, “in cambio del proprio voto e dei suoi familiari“.
Ponte Morandi, la Procura di Genova ipotizza anche il crollo doloso. Si aggrava la posizione dei 71 indagati
La Procura di Genova ipotizza anche il reato di crollo doloso nell’ambito dell’inchiesta sul disastro del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018 nel capoluogo ligure e costato la vita a 43 persone. Le nuove accuse, secondo quanto riportano stamane diversi quotidiani, arrivano sulla base dello sviluppo delle indagini sulle barriere antirumore “difettose”. Le altre accuse, contestate ai 71 indagati, sono attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, disastro colposo e omicidio colposo plurimo.
Truffa all’Unione Europea: sequestro da mezzo milione di euro a Lara Comi (Forza Italia)
Sequestro da oltre mezzo milione di euro a carico dell’ex eurodeputata di Forza Italia Lara Comi e altri 5 indagati accusati di truffa ai danni dell’Unione Europea. L’ex europarlamentare era già finita ai domiciliari nel 2019, e poi tornata libera, per corruzione, emissione di false fatture e truffa nei confronti dell’Ue nell’ambito della cosiddetta inchiesta ”mensa dei poveri” della quale questa è un ulteriore sviluppo. Nuova tegola per Lara Comi dopo che il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano Raffaella Mascarino ha disposto il sequestro di oltre mezzo milione di euro a carico dell'ex eurodeputata di FI e di altri cinque indagati. Nel decreto con cui ha disposto il sequestro si legge che la Comi è accusata di aver stipulato contratti con due persone, una nominata "assistente locale" e l'altra "assistente alla persona" al solo fine di incassare versamenti per quelle prestazioni sulla carta dal Parlamento europeo. In realtà però i due non avrebbero svolto nessuna attività lavorativa, o ne avrebbero svolta una minima parte.
Ombre sul Viminale: quei dirigenti pluri-condannati ma intoccabili che hanno fatto carriera con Lamorgese e Gabrielli
C’è un sistema che negli ultimi anni, anziché rafforzare la “mission” della Legalità, sembra aver diffuso un “virus” nel cuore del Viminale, per trasformarlo in un centro di potere che favorisce chi agisce all’ombra della mafia, contestualmente schiacciando chi la combatte. Potrebbe chiamarsi “mafia-Viminale”, se non fosse che gli attuali vertici hanno le “facce pulite” del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e del capo della Polizia Franco Gabrielli. Che però rischiano di intestarsi questo marchio indelebile se non saneranno il vulnus, chiarendo alcune “devianze” di potere, ma anche aspetti del loro lato oscuro: dai sistemi Montante-Odevaine ai funerali show del boss Casamonica.
Zaia blinda il Veneto. Confini comunali chiusi dalle 14 in poi. L’ordinanza sarà in vigore dal 19 dicembre al 6 gennaio
“Dal 19 dicembre al 6 gennaio stabiliamo la chiusura dei confini comunali a partire dalle 14: abbiamo già un testo ma lo firmerò domani sera. Le attività produttive e commerciali non chiuderanno: chi ha la serranda non la abbasserà, ma dalle 14 si lavora solo con cittadini della propria città”. E’ quanto ha annunciato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Il Governatore ha precisato che l’ordinanza non prevede zone rosse e ha come obiettivo “distribuire il flusso commerciale”. “È una soluzione equilibrio – ha aggiunto – che avrà le sue deroghe. Si tratta di una sorta di zona arancione di scala”. L’ordinanza, ha detto ancora Zaia, è “un sacrificio per il futuro, sono chiamato per il mio ruolo a prendere decisioni e non lo faccio con gioia, mai avrei pensato di occuparmi di una pandemia, ma da due mesi il Veneto è in zona gialla grazie al sistema che ha funzionato e non a numeri taroccati”.
L’audio della sfuriata di Tom Cruise contro due lavoratori sul set: “Se lo rifate, siete licenziati”
The Sun pubblica l’audio di una sfuriata di Tom Cruise contro due membri dello staff del film Mission: Impossible 7. L’attore, considerato un professionista esigente nell’ambiente cinematografico, ha aspramente rimproverato due lavoratori che non avevano rispettato alla lettera le norme previste dal protocollo di sicurezza anti Covid. Seduti insieme dietro un computer senza rispettare il distanziamento minimo di un metro, i due lavoratori sono stati oggetto della sfuriata del divo. Che cosa ha detto Tom Cruise ai lavoratori. L’aspro rimprovero rivolto ai due da Cruise è stato registrato e pubblicato dal celebre tabloid britannico. Nell’audio, Cruise rimprovera ai due di non avere rispettato le norme, mettendo a rischio la sicurezza non solo dell’intero cast e dello staff che lavora al film, ma la riuscita stessa delle riprese. “Siamo il gold standard”, dice Cruise furioso, “Grazie a noi a Hollywood sono tornati a fare film. Passo ogni giorno al telefono con ogni Studio, società di assicurazione e produttori che ci stanno prendendo ad esempio per tornare a fare film. Stiamo creando migliaia di posti di lavoro. Non voglio mai più vedere niente del genere! Se lo rifate, siete licenziati. Non accetto scuse”.
Piano pandemico. Caro Ranucci, i 5 Stelle stanno dalla parte degli italiani
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. È un detto popolarissimo che si attaglia alla perfezione alla nota vicenda del piano pandemico italiano mai aggiornato. Parliamoci chiaro: se in questo 2020 disgraziato non fosse arrivato il Covid-19 a sconvolgerci la vita, se Report non avesse portato alla luce il rapporto sulla gestione della pandemia in Italia pubblicato sul sito dell'OMS e 1 giorno dopo scomparso, i burocrati della Divisione Prevenzione del Ministero della Salute italiano forse avrebbero continuato a produrre, taroccandone la data, sempre lo stesso piano pandemico vintage del 2006. E i ministri che si fossero avvicendati nel tempo al Ministero, forse non ne avrebbero mai saputo nulla. Lo ha spiegato tempo fa molto bene Giulia Grillo, l'ex ministro della Salute grillina del governo Conte I, durante un intervento a La7: "Io non sono mai stata interpellata sulla questione del piano pandemico, perché in realtà è una questione che procede in maniera amministrativa, non c’è un atto politico. I direttori generali sanno che devono, o dovrebbero a questo punto, rinnovare tutta una serie di documenti ed atti di programmazione”.
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Come leggere i numeri Covid: l’Italia ancora spaccata in due tra Nord e Sud sui ricoveri, terapie intensive e morti
Il numero dei decessi su 100mila abitanti vede in testa il Friuli Venezia Giulia, seguito da Veneto, provincia autonoma di Trento e Valle d'Aosta. Tra le Regioni del Sud la più esposta è la Puglia mentre la Calabria è ultima. Una suddivisione che rispecchia quella tra Nord e Sud e che potrebbe essere influenzata dal dato sull'aspettativa di vita. L’Italia – come già accaduto nella prima ondata – si ritrova in questi giorni spaccata in due tra Nord e Sud sui numeri del Covid per quel che riguarda ricoveri, terapie intensive e soprattutto i decessi, con dati aggiornati alla giornata di ieri, 16 dicembre 2020. Ad evidenziarlo sono i grafici elaborati da TPI che mettono a confronto la situazione Regione per Regione. I grafici non partono dai dati assoluti – i numeri dei bollettini che vengono divulgati quotidianamente – ma da quelli relativi, calcolati sui 100mila abitanti, quindi emblematici, perché non influenzati dal numero degli abitanti delle diverse Regioni. I morti rispetto alla popolazione, in particolare, sono di più nelle Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud.
Le 75 dosi di vaccino Pfizer scartate perché trasportate male
Il vaccino Pfizer teme il caldo. Il trasporto presenta varie criticità. Negli Usa il dipartimento della Salute del New Mexico ha dovuto scartare 75 dosi del vaccino Pfizer contro il Covid-19 per il timore che non siano state trasportate in maniera corretta, secondo quanto dichiarato dall'ufficio del governatore. "Abbiamo avuto un piccolo incidente con una delle nostre 18 spedizioni dopo aver notato un possibile cambiamento di temperatura durante il tragitto", ha detto il portavoce del governatore Matt Nerzig. Lo stato ha smaltito le 15 fiale di vaccino "nell'interesse della sicurezza", ha spiegato Nerzig. Ogni fiala contiene cinque dosi di vaccino.
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Alla Sanità ci vorrebbe un ministro come Sileri. La crociata solitaria del vice di Speranza contro i tecnocrati del dicastero
Pierpaolo Sileri, medico chirurgo “prestato” alla politica come viceministro della Salute, sta emergendo come uno dei migliori tra i Cinque Stelle governativi. Competente, preciso, appassionato il viceministro dice cose sensate e le dice da conoscitore della materia per via della sua professione medica. Mentre i virologi si accapigliano tra loro in indecenti e disorientanti baruffe mediatiche giornaliere, Sileri argomenta, spiega, precisa, risponde appropriatamente, cesella e rifinisce e soprattutto individua le magagne che gli altri tacciono colpevolmente. È un vero piacere ascoltarlo. Ad esempio, prendiamo l’indecente situazione che si è venuta a creare dopo la scoperta di Report (Rai Tre) del fatto che il piano pandemico italiano non era aggiornato dal 2006 e tale è rimasto, ma in compenso si è cercato di fare un maldestro “copia e incolla” del piano vecchio in uno nuovo lasciando però i vecchi riferimenti e questo significa che per sciatteria non è stato nemmeno riletto. Poi Report ha fatto venire fuori il fatto che il ministro della Sanità, Roberto Speranza, ha dato un contributo di 10 milioni di euro all’Oms dopo anni in cui non versava nulla.
Lo Stato indipendente chiamato Facebook
Ormai è più di un social network: dalla app di appuntamenti, fino all'e-commerce. E arrivò anche la propria moneta. Era nata coma piattaforma per i ‘compagni di classe’ che volevano ritrovarsi – e mantenersi in contatto – anche dopo la fine del percorso di studi condiviso. Poi, mattone dopo mattone, è diventato (e sta diventando) un vero e proprio Stato indipendente. La creatura di Mark Zuckerberg è da anni molto più di un social network e, piano piano, sta assumendo sempre più i contorni di un’entità che vive di vita propria. Le modifiche strutturali sono arrivate con il tempo e ora, con l’arrivo di Diem – il bitcoin Facebook – questa mutazione è arrivata al compimento. Ma non sembra essere l’ultimo passo. Solo qualche anno fa il colosso dei social network (che, nel frattempo, ha acquisito anche Instagram e Whatsapp creando una sorta di piccolo-immenso monopolio) aveva provato a lanciare Libra: una criptovaluta che, però, non ha avuto il successo sperato. Adesso, dopo qualche tentativo a vuoto, Zuckerberg&Co. ci riprovano con Diem.
Forza Nuova prova a rifarsi una verginità confluendo in un altro movimento: Italia Libera
L’addio a Forza Nuova (inteso come nome) è stato ufficializzato dal suo leader Roberto Fiore in un’intervista rilasciata ad Adnkronos. Ma questo non segna la fine del movimento neofascista che, strategicamente, ha deciso di entrare a far parte di un movimento ancor più grande (dicono) chiamato Italia Libera. Insomma, quelli che si sono riuniti in piazza (in diverse piazze italiane) al grido di dittatura sanitaria, ora convergono sotto un unico simbolo che si presenterà anche alle prossime elezioni. Forza Nuova cambia il nome, ma non le modalità. Nell’intervista rilasciata da Roberto Fiore a Silvia Mancinelli di Adnkronos, il leader di quella che fu Forza Nuova ha annunciato il cambio di passo con l’addio al proprio storico nome e l’ingresso in Italia Libera: «Un grande movimento che si presenterà invece alle elezioni così come a ogni manifestazione pubblica nazionale, con gente più preparata e proveniente da diversi fronti e schieramenti».
Anna Valle e gli altri: cosa fare quando si è vittima di profili fake
Leggi tutto: Anna Valle e gli altri: cosa fare quando si è vittima di profili fake
Recovery, Conte: ‘Non è concezione padronale. Lo stato dei progetti sarà consultabile online’. Renzi rinvia l’incontro e minaccia ancora. Boccia: “Giochini di palazzo da irresponsabili”
Il leader di Italia viva, dopo aver fatto saltare il confronto con il presidente del Consiglio, nella e-news ha annunciato: "Diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci". Rosato: "Ci vedremo domani sera o giovedì". E’ stato lui a volere lo scontro dentro la maggioranza, sempre lui a minacciare Giuseppe Conte in Senato perché su Recovery fund si ridiscutesse tutto da capo. Ma al momento della convocazione da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha deciso di non presentarsi e di far rinviare l’incontro. Il motivo ufficiale? L’impegno della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova a Bruxelles che le impedisce di partecipare al vertice delle 13. “Ci vedremo domani sera o giovedì“, ha dichiarato Ettore Rosato su Radio Rai Uno. Intanto, in attesa che il faccia a faccia venga ufficialmente riprogrammato, il leader di Italia viva continua a minacciare il governo.
Coronavirus, in Veneto situazione critica tra contagi e ricoveri. 165 morti in un giorno. Zaia: “Negli ospedali peggio della prima ondata”
Solo nelle ultime 24 ore sono stati accertati altri 3.320 casi, in salita rispetto a martedì scorso, mentre nel resto d'Italia la curva rallenta. Ogni 14 giorni si registrano più di mille decessi. La denuncia del direttore di due terapie intensive dell'azienda ospedaliera di Padova: "Noi abbiamo solo quattro posti liberi". Se "l'incendio" non verrà spento, "facendo calare malati e ricoveri, rischiamo il default del sistema". A Verona, una delle province più colpite dal punto di vista sanitario, le prestazioni ordinarie sono state ridotte del 30 per cento, mentre a Padova i sindacati sono in rotta con i vertici degli ospedali per l’infezione che corre tra i sanitari e i turni massacranti a cui sono sottoposti da mesi. Il governatore Luca Zaia ammette che “la situazione in Veneto è pesante. I ricoveri sono molti: stiamo infatti parlando di oltre 3mila pazienti ricoverati, praticamente mille in più rispetto al picco di marzo-aprile e si tratta di pazienti che hanno una patologia contagiosa e complicata“, ha spiegato in conferenza stampa.
La verifica fatela agli ospedali
Invece di andare a vedere in che condizioni sono gli ospedali, o per quale caspita di motivo non si riesce a limitare la folla nelle vie dello shopping, ieri le prime due forze politiche della maggioranza sono andate a verificare quanto possono far girare le pale agli italiani certi minuetti da Prima Repubblica. D’altra parte, le sparate continue dei renziani e i silenzi del Pd non lasciavano scelta. Così si è riesumato il vecchio rituale dei buoni propositi detti in faccia e dei desideri inconfessabili, per chi li ha, tenuti nel taschino. Risultato: i 5 Stelle, obbligati ad esserci, i dem felicissimi di mettere Conte in croce scaricandone la “colpa” su Renzi, e quest’ultimo orgoglioso dell’ennesimo successo politico con cui può star certo di moltiplicare gli elettori (degli altri). Una situazione che ha fatto bene Di Maio a definire surreale, perché in mezzo a una pandemia ci si dovrebbe concentrare sulla sicurezza del Paese prima di pensare a tutto il resto.
Salta il confronto con Conte. Ma Renzi torna all’attacco: “Stiamo facendo una battaglia per le idee, non per le poltrone. Ministre pronte a rimettere il mandato, se serve”
E’ saltato, ufficialmente per gli impegni della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova a Bruxelles, l’incontro tra il premier Giuseppe Conte e il leader di Italia Viva Matteo Renzi. “Il Presidente del Consiglio – scrive l’ex premier nella sua e-News – ha convocato i partiti di maggioranza. Il blitz notturno che avrebbe fatto approvare un documento non condiviso da nessuno e una task force in grado di sostituirsi al Governo e al Parlamento è stato ufficialmente bloccato. Lo avevo chiesto in Parlamento e oggi sono felice che tutti diano ragione a Italia Viva”. “Sui temi del ‘salto di qualità’ del Governo – aggiunge ancora Renzi – diremo la nostra al Premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci (non oggi perché la Ministra Bellanova, nostra capodelegazione, è a Bruxelles per difendere i prodotti agroalimentari italiani). Appena consegnato al Premier, manderemo il documento anche a tutti gli amici del popolo delle Enews”.
“Se qualcuno morirà, pazienza”: la frase shock del presidente di Confindustria Macerata
"Anche se qualcuno morirà, pazienza”. È la frase shock pronunciata dal presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini. Ospite dell’evento online “Made For Italy per la Moda”, Guzzini ha commentato così la prospettiva di nuove chiusure per le festività natalizie: “Significa andare a bloccare un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi. Le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Così diventa una situazione impossibile per tutti”.
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Gioco sporco di Italia Viva. Per qualche poltrona in più. I Dem puntano all’Istruzione ma c’è il muro dei 5 Stelle. Il posto della Pisano all’Innovazione potrebbe finire a Iv
I conti per più di qualcuno non tornano: “Ma come può Renzi minacciare il governo visto che, se si andasse al voto, Italia Viva rischierebbe di restare fuori dal Parlamento?”, ci si domanda nelle variegate chat che, a volte anche trasversalmente tra i gruppi parlamentari, popolano la maggioranza. Il dubbio è più che lecito: numeri alla mano non sarebbe così scontato per Matteo Renzi restare in Parlamento. E anche se ci riuscisse i seggi si potrebbero contare sulla punta delle dita. Ecco perché all’interno della maggioranza (ma anche dell’opposizione) nessuno crede che il fine di Italia Viva sia realmente quello di mettere a rischio la stabilità di Giuseppe Conte. E la prova è proprio nelle consultazioni in corso da ieri e che vedranno oggi di fronte Renzi e Conte. “Com’è spesso accaduto anche in passato – spiega un senatore dem che preferisce restare anonimo - Renzi spara alto per ottenere poi in fase di mediazione quello che realmente vuole”. Su questo non c’è dubbio: l’ex presidente del Consiglio è un maestro. Ecco perché secondo molti è ben più probabile che il refrain “Italia Viva vuole essere più partecipe alle decisioni” si traduce nel concreto con “qui urge un rimpasto”. Eccolo. Il rimpasto, vero obiettivo di questo gioco al rilancio in cui nessuno – né Movimento 5 stelle, né Pd, né tantomeno Iv – è estraneo. Alla fine, spiegano i tanti parlamentari nelle chat, è probabile che si arriverà alla fatidica mediazione: resta la task force per la gestione del Recovery Plan (anche se, a quanto pare, con un ruolo marginale e senza, soprattutto, che la struttura tecnica intralci il lavoro politico e legislativo), ma a patto che, dopo la legge di Bilancio, a gennaio si arrivi a un piccolo rimpasto di governo.
"Senza riforme, niente soldi del recovery fund". L'Olanda avverte l'Italia
Il ministro degli Esteri Blok a Roma da Di Maio e Amendola per un confronto sul piano di ripresa: "Le tensioni politiche se le gestisce l'Italia, ma dovrà riformare giustizia e scuola". Senza riforme, niente soldi del recovery fund. Il ministro degli Esteri olandese Stef Blok è a Roma per incontri istituzionali con il suo omologo italiano Luigi Di Maio e con il ministro degli Affari Europei Enzo Amendola. A pochi giorni dall’accordo raggiunto in Consiglio europeo sul recovery fund e il bilancio Ue, il messaggio del governo de L’Aja per il governo di Roma è chiaro. Torna il mantra delle ‘riforme da fare’, ma stavolta, a differenza che in passato, la Commissione europea ha degli strumenti in più per far rispettare le regole, argomenta Blok in un incontro con la stampa: può bloccare i fondi. E l’Olanda, come altri Stati membri, ha la possibilità di sottoporre la questione in Consiglio europeo, utilizzando lo strumento ottenuto a luglio: il cosiddetto ‘freno di emergenza’ per sospendere l’erogazione delle risorse in mancanza di piani nazionali convincenti. “L’Olanda – rivendica Blok – ha insistito affinché nel Next generation Eu fosse inserita una condizionalità di tipo economico perché siamo convinti che tutti possano beneficiare da queste riforme”. Quali sono quelle che l’Italia dovrà mettere in campo? Sono scritte nelle raccomandazioni che la Commissione europea elabora per ogni Stato membro. Blok cita la “riforma della giustizia” e anche una riforma del “sistema educativo” perché, dice dell’Italia, non sempre le scuole e le università danno quel “tipo di conoscenza richiesto dal mercato del lavoro”. Quanto agli investimenti ‘green’, Blok spezza invece una lancia a favore dell’Italia: “E’ avanti anche rispetto all’Olanda”.
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